Sapori e gusti non sono la stessa cosa. I gusti, secondo la fisiologia, sono cinque, percepiti sulla lingua e in vari punti all’interno della bocca. I sapori sono molti di più, e la nostra percezione di essi ha maggiori rapporti con il senso dell’olfatto. A partire da questa differenza, Niki Segnit ha redatto una mappa dei sapori che ne cataloga 99 dividendoli in 16 categorie in base alla loro affinità.
L’autrice, proveniente dal marketing gastronomico e già titolare di una rubrica dedicata agli abbinamenti tra sapori sul Times, ne ha analizzato e trattato le possibili combinazioni, da quelle più classiche alle più imprevedibili, con l’intento di sussurrare all’orecchio del cuoco amatoriale ispirazioni e sperimentazioni, il tutto precisando che tanto le categorie quanto gli abbinamenti sono il frutto di una visione totalmente soggettiva; del resto, anche tra i degustatori professionisti di olio o di vino si ricorda sempre che non tutti, non necessariamente, avvertiranno gli stessi sentori all’assaggio.
16 categorie, dicevo, disposte a formare una ruota in cui ogni categoria sfuma in quella contigua per affinità e parentela. Così, ad esempio, dai sapori “di rovo e di siepe” come quelli di ribes nero e mora di rovo si passa ai “fruttati fioriti” di lampone e fico; gli ingredienti inseriti in ogni categoria, 99 in tutto, vengono poi singolarmente trattati proponendone possibili abbinamenti, raccontati attraverso aneddoti curiosi, piatti tipici di diversi paesi del mondo e anche ricette.
La Segnit non nasconde, in maniera intelligente e previdente, che la trattazione e la classificazione sono soggettive e le scelte arbitrarie. E del resto salta all’occhio, ad esempio, che all’assenza della comune zucchina fa riscontro la presenza del meno comune (per noi) black pudding; d’altronde parliamo di un’autrice anglosassone che, pur avendo girato il mondo in lungo e in largo, sconta pur sempre un imprinting ben preciso. Non si può evitare di rilevarlo quando include, nel “pesce bianco”, solo merluzzo, razza, sogliola, passera di mare, platessa, pescatrice e rombo; o quando parlando dei pomodori afferma che, tra quelli freschi, gli unici a non deludere mai quanto a gusto sono i pomodorini ciliegia (magari se i pomodori si mangiano nella stagione giusta e non nell’hinterland londinese, non è così) o ancora che l’unico pomodoro che si avvicinava davvero all’ideale di gusto l’ha mangiato in Spagna sulla Costa de la Luz. In me, che sono campana, ma immagino in tutti noi italiani, queste asserzioni suscitano un sorrisetto vagamente spocchioso che traduce l’affacciarsi del pensiero: “perdona loro, perché non sanno ciò che dicono”.
E forse talvolta si percepisce anche un po’ di ingenuo entusiasmo verso abbinamenti che a noi possono apparire consueti e scontati, o qualche approssimazione di troppo, come quando leggiamo che quello tra cannella e cioccolato è un abbinamento diffuso soprattutto in Messico, anche se di recente rilanciato in Canada grazie a uno snack di una grande multinazionale per la quale l’autrice ha lavorato. Insomma, cannella e cioccolato è cosa che un bambino italiano di cinque anni ha già nella propria esperienza, diciamolo.
Ma nel complesso il gioco dei sapori è divertente e godibile, anche se grandi scoperte non se ne fanno. Non tante, almeno. Forse si ricevono più conferme a cose che si sanno per istinto, abitudine, tradizione, e che magari sono meno istintive, abituali e tradizionali per Britannici e Statunitensi.
Con le dovute eccezioni: personalmente ignoravo, ad esempio, che Heston Blumenthal avesse sperimentato con successo il matrimonio tra caviale e cioccolato bianco. Ed è curioso scoprire che alcuni accoppiamenti immarcescibili della cucina tradizionale o di casa, come patate/limone, hanno ricevuto critiche da parte di qualche chef, in barba alle insalate di patate o alle patate schiacciate della nostra infanzia e ad ogni pollo al limone greco, e non solo, che abbiamo avuto il piacere di incontrare.
Alla fine, la cosa più gustosa sono gli aneddoti che condiscono i ritratti di alcune saporite coppie, come il racconto di una pie di manzo e funghi da 1000 sterline a fetta preparata da Spencer Burge con manzo Wagyu (o Kobe), funghi Matsutake, tartufo nero, foglia d’oro e una salsa a base di Chateau Mouton Rothschild dell’82.
Per il resto, una lettura piacevole e a tratti divertente. Ma per quanto mi riguarda, essendo io già scarsamente simpatizzante del foodpairing, continuo a credere che il palato e l’istinto la sappiano più lunga di qualsiasi manuale.
Niki Segnit – La grammatica dei sapori e delle loro infinite combinazioni – Gribaudo