È la tradizione del Giovedì Santo: nelle chiese si allestiscono gli altari della reposizione; nel sud, Napoli inclusa, i fedeli li chiamano sepolcri e ne visitano sette, per devozione. Poi tornano a casa e mangiano la zuppa di cozze “con il forte”.
Cibo di magro, ma in realtà una sorta di compromesso tra astinenza e gola: è un piatto semplice di mare, ma si fa di tutto per renderlo appetitoso e vivace.
Un tempo il piatto popolare del Giovedì Santo era la zuppa di maruzze (lumache di terra o di mare). La maruzza, ora ricercata prelibatezza, era cibo economico, ben più della cozza; basta dare un’occhiata ai prezzi dei mercati per capire che oggi la situazione si è capovolta. È per questo che nei testi più classici di cucina napoletana non si trova traccia della versione pasquale della zuppa di cozze, ma è sempre presente la ricetta di quella di maruzze.
Ne “Il ventre di Napoli”, raccontando le usanze alimentari del popolo cittadino, Matilde Serao scriveva che con un soldo era possibile comprare fragaglie fritte (piccoli pesci misti), panzarotti, castagne allesse, spighe di granturco bollite, scapece di zucchine o di melanzane che ciascuno si faceva versare su una fetta di pane portata con sé. Disponendo di tre soldi al giorno per mangiare, il napoletano preferiva pranzare in casa. Ma:
“Con due soldi si compera un pezzo di polipo bollito nell’acqua di mare, condito con peperone fortissimo (…); con due soldi di maruzze, si hanno lo lumache, il brodo e anche un biscotto intriso nel brodo”.
Tra i lussi, da ben cinque soldi, la Serao indica il soffritto, che definisce massima golosità:
“…dei ritagli di maiale cotti con olio, pomidoro, peperone rosso, condensati, che formano una catasta rossa, bellissima all’occhio, da cui si tagliano delle fette (…). In bocca, sembra dinamite”.
Ebbene, è di queste tre cose, il polpo lesso con peperone piccante, le maruzze con il biscotto intriso, il soffritto con la sua densa conserva di peperone rosso (un piatto vivo ancor oggi), che è figlia la zuppa di cozze del Giovedì Santo.
Deve contenere, oltre alle cozze, le maruzze di mare, sebbene molte trattorie le omettano e aggiungano invece frutti di mare assortiti e crostacei, le ranfe (tentacoli) di polpo lesso e, soprattutto, il “forte” (il piccante) sotto forma di quella stessa conserva di peperone piccante che si utilizza per preparare il soffritto. Qui, però, la conserva viene usata per realizzare un olio bruciante che, per ovvi motivi cromatici, viene chiamato ‘o rrusso (il rosso). E sul fondo della scodella di zuppa di cozze ci va la fresella, il biscotto di grano che viene intriso sia con il liquido delle cozze mescolato a quello della bollitura del polpo, sia con l’olio piccante, ‘o rrusso: la fresella deve essere ben morbida e l’olio rosso va versato fin’a quanno s’o tira, cioè fino al punto in cui il biscotto riesce ad assorbirlo.
Ci sono in città trattorie e ristoranti votati alla zuppa di cozze pasquale che ne hanno fatto il proprio cavallo di battaglia e la preparano tutto l’anno, ma molti altri la mettono in carta nei giorni che precedono la Pasqua, in ossequio a una tradizione che non accenna a tramontare. E nei mercati più popolari in quel periodo è possibile trovare bottigline di olio rosso già pronto. Soprattutto nel mercato di Porta Nolana, particolarmente ricco di pesce (ed economico) che si tiene a Via Soprammuro, ed è per questo noto come mercato ‘ncopp’e mmura: le mura in questione sono quelle della cinta aragonese, di cui sopravvivono pochi resti.
Non si tratta di una zona, né di un mercato, per signorine, per così dire, ma i prezzi sono imbattibili, la varietà di pesce e frutti di mare davvero notevole. Sconsigliabile, però, acquistare l’olio rosso già pronto, in genere blando e sicuramente non preparato con extravergine di qualità. Meglio farlo in casa, acquistando la conserva di peperone e lasciandola a lungo in infusione nell’olio, per poi filtrare accuratamente, oppure, meglio ancora, scaldando l’olio e aggiungendo poi la conserva e lasciando cuocere lungamente mescolando con costanza perché non attacchi, finché la conserva diventa scurissima e l’olio intensamente scarlatto, e infine filtrando con molta attenzione. La proporzione dovrebbe essere all’incirca di una parte di conserva per tre di olio.
E se non è possibile procurarsi la conserva di peperone (a Napoli facilmente reperibile, e tradizionalmente ottenuta per essiccazione al sole), si può provare a realizzarla con le indicazioni dello chef Gennaro Esposito della Torre del Saracino: abbrustolire i peperoni rossi, spellarli, privarli di semi e filamenti, lasciarli sgocciolare bene, quindi frullarli ed essiccare la crema in forno a 60° per un paio d’ore. Ovviamente bisogna aggiungervi peperoncino piccante in debita quantità.
Per il resto, per preparare la zuppa di cozze del Giovedì Santo sarà sufficiente lessare il polpo fino a renderlo tenero e utilizzarne i soli tentacoli, conservando il liquido di bollitura; far aprire le cozze con olio e aglio; mescolare il liquido emesso dalle cozze, filtrato, con metà di quello del polpo, filtrato anch’esso. Disporre sul fondo dei piatti le freselle, irrorarle con il mix ben caldo dei due liquidi, ammorbidendole bene, e con l’olio rosso; sovrapporre le cozze e i tentacoli del polpo tagliati a pezzi, spolverizzare con prezzemolo tritato e completare con altro olio rosso, secondo il proprio gusto.
Due cose ancora:
– le maruzze sono quasi obbligatorie, nella zuppa di cozze pasquale, ma non tutti le amano. Nel caso, vanno fatte cuocere brevemente con aglio, olio e prezzemolo;
– c’è chi usa il pomodoro, chi lo ammette nella ricetta, chi include la conserva di pomodoro, ma la sola conserva che c’è nella zuppa verace è quella di peperone. A volte dolce, il più delle volte piccante.
È tutto qui, il piatto che si dice amato da Ferdinando I di Borbone e forse addirittura inventato per lui, affinché non si privasse del piacere delle sue cozze adorate nel periodo di astinenza che precede la resurrezione di Cristo.