Il cereale dai grani minuscoli è talmente fondamentale nella vita e nell’alimentazione di alcune popolazioni da trovar posto nella loro cosmogonia. Accade tra i Dogon del Mali, che ritengono che da un chicco di fonio sia nato l’intero universo; ma il fonio in alcune comunità è anche cibo per occasioni importanti, dote delle spose, parte delle cerimonie in onore degli antenati.
Coltivato nei paesi dell’Africa occidentale, in una fascia che va dal Senegal al Chad, ma soprattutto in Guinea, Benin, Mali, Burkina Faso, ma pressoché sconosciuto da noi, è al centro di alcuni progetti di valorizzazione che mirano ad incrementarne le esportazioni verso Europa e USA ma anche a meccanizzarne la produzione e a garantirne alti standard qualitativi. Si pensa sia tra i cereali più antichi del mondo, coltivato almeno dal 5000 a.C., anche se sulle sue origini c’è molta incertezza. Di certo è menzionato già nel ‘300 in testi di storici, geografi e viaggiatori arabi come Ibn Battuta e Al-Umari, che lo cita tra i principali alimenti del Mali.
Questa pianta erbacea delle Graminacee, il cui nome scientifico è Digitaria Exilis, è di piccole dimensioni (non supera gli 80 cm di altezza); produce chicchi minuti ma pieni di virtù e che molti ritengono abbiano il sapore migliore tra tutti i cereali conosciuti, leggermente “nocciolato”, a quanto si dice.
Chiamato anche fundi, findi, acha, hungry rice, il fonio è ricco di aminoacidi, in particolare cistina e metionina, assenti nei cereali più consumati; contiene ferro, magnesio e zinco ed è leggero, digeribile e adatto anche ai celiaci perché privo di gliadina e glutenina.
In più, ha due grandi pregi che lo rendono essenziale per la stessa sopravvivenza delle popolazioni delle regioni in cui cresce: sopporta i suoli aridi e poveri e alcune sue varietà maturano in anticipo rispetto agli altri cereali, così da costituire una risorsa in periodi di potenziale carestia. La maturazione avviene molto rapidamente: dopo sole 6-8 settimane dal momento della semina.
Il problema del fonio è che la sua lavorazione è tutt’altro che semplice: avviene ancora in massima parte con metodi tradizionali e manuali, e questo ha provocato una riduzione, in alcuni casi la scomparsa, delle coltivazioni. Sono gli uomini a raccogliere il cereale e ad occuparsi poi della trebbiatura; quindi il fonio viene decorticato in mortai, operazione lunga e molto faticosa, demandata alle donne della comunità; basti pensare che un chicco di fonio decorticato e sbiancato (privato del germe e del pericarpo) ha dimensioni che si aggirano intorno a un millimetro. Per ottenere un grammo di prodotto finale occorrono circa 2000 chicchi che hanno subito 3, 4 o più fasi di decorticatura.
I progetti di sostegno alla coltivazione del fonio, uno dei quali finanziato dall’Unione Europea, hanno cercato di modernizzare il processo di trasformazione meccanizzandolo in parte e consentendo di mettere in commercio nuovi prodotti di più semplice consumo, come il fonio precotto.
La voga dell’alimentazione naturale e della riscoperta dei cereali dimenticati, unita al veganismo e al diffondersi dell’intolleranza al glutine, sembra promettere un futuro di maggiore splendore per i piccoli chicchi sconosciuti, e soprattutto una fonte di guadagno per le comunità rurali che si dedicano alla sua produzione.
Il fonio è adatto per la preparazione di minestre, cous cous, pane; in Togo se ne ricava persino una birra chiamata Tchapalo. On line si trovano ricette di ogni genere, dal cous cous al tabulé, dalle polpette agli stufati, soprattutto in siti in lingua francese.
Lo si può acquistare on line, nei negozi di commercio equosolidale e in alcuni negozi di alimenti etnici.
E considerato che, a detta dei Dogon, dentro un chicco di fonio c’è in germe il mondo intero, può valerne la pena.
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