Nelle Valli Valdesi, ai confini occidentali del Piemonte, il 17 febbraio si fa festa per ricordare le Lettere Patenti con le quali Carlo Alberto di Savoia, nel 1848, concesse ai Valdesi il godimento dei diritti civili e politici, dopo secoli di persecuzioni.
Riconoscendo “la fedeltà ed i buoni sentimenti delle popolazioni Valdesi”, il provvedimento recitava: “Ci siamo di buon grado risoluti a farli partecipi di tutti i vantaggi conciliabili con le massime generali della nostra legislazione. Epperciò per le seguenti, di Nostra certa scienza, Regia autorità, avuto il parere del Nostro Consiglio, abbiamo ordinato ed ordiniamo quanto segue:
I Valdesi sono ammessi a godere di tutti i diritti civili e politici de’ Nostri sudditi; a frequentare le scuole dentro e fuori delle Università, ed a conseguire i gradi accademici.”
Una svolta che preludeva a un cammino ancora lungo volto al riconoscimento della piena libertà di culto, ma comunque un grande passo in una direzione che fino a qualche secolo prima pareva inimmaginabile.
Seguaci di Pietro Valdo, detti anche “poveri di Lione” per il loro ispirarsi ad uno stile di vita austero, in accordo col messaggio evangelico, partecipi del grande movimento di rinnovamento della Chiesa e della pratica della religione cristiana iniziato nel secolo XII e protrattosi fino a sfociare nella Riforma protestante, i Valdesi furono scomunicati e perseguitati senza interruzione, con apici di repressione e violenza nel corso del secolo XVII, che vide conversioni forzate, espulsioni, esecuzioni sommarie e massacri di migliaia di fedeli nel Ducato di Savoia. E’ comprensibile perciò che la data del 17 febbraio 1848 venga celebrata, per quanto nello stile sobrio che caratterizza il modo di vivere dei valdesi.
La festa ha inizio la sera del 16 con l’accensione di enormi falò che illuminano le valli e intorno ai quali la popolazione si riunisce, prosegue il 17 con cortei in costume, celebrazione del culto e un pranzo consumato in comune che ha un carattere sacrale, come più in generale il cibo nella tradizione valdese, caricato di un valore spirituale e oggetto di rispetto profondo.
Una delle pietanze tipiche della festa, non solo di quella del 17 febbraio, è la Supa Barbetta, piatto povero e semplice imparentato con la supa mitunà piemontese, come questa preparata, in origine, con pane raffermo e oggi con grissini, che ne sono la caratteristica più singolare.
Prende il nome dai “barba”, ministri e predicatori valdesi, e da barbet, che in dialetto piemontese indicava i valdesi in genere.
In un recipiente da cottura di terracotta o di rame si dispongono foglie di verza e, a strati, grissini, toma, spolverati con cannella, chiodi di garofano e noce moscata e conditi con qualche fiocco di burro. Si bagna con brodo di gallina e maiale e si porta a cottura la zuppa senza mai girarla, perché i grissini devono conservare la loro integrità. La tradizione prevede che la cottura, lenta, avvenga in una “basina”, casseruola ampia in rame, posta sulla brace del camino, e che la zuppa venga completata con del burro fatto spumeggiare con spezie ed erbe aromatiche.
Potete vedere la preparazione della zuppa ad opera dello chef del Ristorante Flipot di Torre Pellice a questo link.
Foto di apertura: http://www.turismotorino.org