Oggi vi racconto il Latte Brulé e per favore non chiamatelo crème caramel, ma neanche crème brûlée e neppure latte portoghese. In Romagna, sempre in quella parte di Bassa Romagna che mi appartiene, il Lattè Brulé è il dolce delle feste dell’inverno, delle grandi occasioni e delle tavole con tanti parenti. Arriva a fine pasto in genere dopo i cappelletti, il lesso e gli arrosti. Arriva a tavola sparecchiata, ripulita da briciole, sul piatto tondo del servizio buono. Arriva portato dalla padrona di casa, deputata a tagliare la prima fetta col fiato sospeso e con tutti gli occhi dei commensali puntati addosso.
Perché il latte brulé in assoluto non deve avere neanche un buco nella crema.
Ci fosse un bucanino la colpa sarebbe del babbo, del latte, dell’umidità, del gas che sembrava diverso e della Maria che è entrata e ha fatto corrente. Credo di aver preso la colpa anch’io una volta, avevo sollevato il coperchio sul fornello, quello dello stufato che ci bolliva a fianco e il vapore aveva fatto un dispetto al latte brulé di mamma, sul fornello da interminabili ore.
In campagna, il passare del tempo e delle stagioni si vede nei campi, negli attrezzi, sugli alberi e in tavola. Con l’avvicinarsi della stagione fredda e dei giorni di festa, ecco sui fornelli i tegami a bollire per interi pomeriggi.
Uno di questi era pieno di latte. Ricordo che arrivava una signora che lo portava appena munto, nel contenitore in alluminio. Ne ho un ricordo vago, che dopo erano cartoni fatti a triangolo, il primo latte a lunga conservazione, credo.
Non ho mai prestato attenzione ai tempi e ai modi di preparazione. So che profumava di vaniglia tutta la casa, perché mamma metteva a bollire il latte con la stecca. E so che la cottura era lunga. Ma solo negli ultimi anni, passati a far prove per replicare la ricetta di mamma, mi son resa conto di quanto tempo occorra.
In rete se ne trovano innumerevoli ricette, questa è quella che appartiene alla mia casa, la cottura è sul fornello e in forno solo nel finale per dorare la superficie.
Lo stampo è quello classico in alluminio decorato. Non rispondo per preparazioni diverse. Passiamo alla ricetta
Ingredienti:
2 litri di latte intero fresco (se crudo anche meglio, io ho usato quello del super)
una stecca di vaniglia
16 rossi d’uovo
16 cucchiai di zucchero + 150 grammi
Procedimento: (se lo volete mangiare di sabato fatelo il mercoledì)
Mettere sul fornello il tegame con i due litri di latte, 8 cucchiai di zucchero e la stecca di vaniglia. Far bollire a fuoco lento fino a che il latte non dimezzerà il volume (la prima volta ho usato uno spiedino, fatto la tacca prima di iniziare e controllato col metro, oggi controllo il colore del latte, quando è come nella foto, spengo). Quanto occorre? Considerato che dipende dalla grandezza della pentola, della concentrazione panna latte, dalla grandezza del fornello vi dico circa 3 ore, ma forse qualcosa di più.
Quando il latte sarà dimezzato spegnere la fiamma e lasciare freddare.
Caramellare lo stampo con 150 g di zucchero e, con l’aiuto di guanti e pazienza, ruotarlo sulla fiamma piccola fino a quando lo zucchero non sarà completamente sciolto e avrà coperto tutta la superficie, sponde interne comprese (aiutarsi con un cucchiaio) A me piace il caramello scuro, andate a sentimento.
In una ciotola sbattere i tuorli con i restanti 8 cucchiai di zucchero fino ad ottenere un composto spumoso.
A questo punto, aiutandovi con un colino, filtrate il latte sulle uova e mescolate con la frusta per amalgamare. Versate nello stampo e ponete a cuocere sul fornello a bagnomaria. Fuoco basso, non deve mai raggiungere il punto di bollore e l’acqua non deve mai toccare il dolce, neanche sotto forma di vapore acqueo (altrimenti il principe non vi porterà mai a controllare se il cavallo è a vostra misura).
Quante ore sul fornello? Regolatevi in base ai miei ripetuti sbagli. Almeno 6.
Poi in forno a 180°, sempre a bagnomaria per colorare la superficie, circa 20’.
A questo punto lasciatelo raffreddare nello stampo fino al momento di servirlo, per sformarlo procedete in questo modo: con un coltellino affilato scollate i bordi, ruotate lo stampo con leggeri colpetti di polso fino a quando non sentirete il liquido ballarci dentro. Ecco, è il momento di rovesciarlo sul piatto, sperare che non schizzi caramello ovunque e che al momento del taglio non ci sia neanche il più piccolo forellino.
P.S.: la stecca di vaniglia, sciacquata dal latte e lasciata asciugare, veniva utilizzata per almeno altri due dolci. Poi seccata e frullata e infilata in biscotti.
Grazie a Lydia per aver fatto la prova per prima, a Lydia e a Dani per aver sopportato la mia seconda prova e agli amici che han dovuto mangiare gli altri tentativi.