Il dizionario Treccani parla chiaro: gorgonżòla s. m. [dal nome della cittadina di Gorgonzola in prov. di Milano, dove è stato originariamente prodotto], invar. – Formaggio da tavola, a pasta molle, cruda et cetera, et cetera.
Meridionale cresciuta a mozzarella, fiordilatte e caciocavallo decido di allargare i miei orizzonti e dedicarmi alla conoscenza del formaggio erborinato più famoso d’Italia. Suggestionata dalla Treccani ritengo quindi di non potermi esimere dal fare una gita in quel di Gorgonzola. Così prima di intraprendere il mio viaggio scorro rapidamente l’elenco dei caseifici aderenti al Consorzio, ma è lì che scopro con enorme sorpresa, e con un minimo di disappunto, che nessuno di essi ha sede a Gorgonzola.
In realtà pare che oggi nella cittadina dell’hinterland milanese il formaggio che l’ha resa celebre sia un pallido ricordo, solo qualche piccola azienda agricola vende al pubblico formaggi erborinati con DeCo., e che questo ricordo sia reso vivido solo una volta all’anno da una sagra settembrina.
Assodato che non andrò a Gorgonzola per conoscere il gorgonzola, decido di cambiare rotta e spostarmi nel novarese.
Perchè se è vero che la sua zona di produzione è limitata alle province di Novara, Vercelli, Cuneo, Biella, Verbano Cusio Ossola e il territorio di Casale Monferrato per il Piemonte e Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Milano, Monza, Pavia e Varese per la Lombardia, noto che tra i quaranta associati al Consorzio nato nel 1970, ben quindici sono nel novarese.
Mi raccontano del gorgonzola e dei suoi segreti due ragazzi giovani ed entusiasti ma con radicate tradizioni familiari: Marco e Martina Invernizzi.
Figlio dello stracchino prodotto con il latte delle vacche stracche, il gorgonzola ha un gran pregio rispetto ai suoi cugini francesi ed inglesi, roquefort e stilton, quello di avere una duplice veste: una dolce, caratterizzata da una cremosità più marcata, ed una piccante, dalla stagionatura più lunga.
La vita del gorgonzola nasce con il latte di vacca pastorizzato proveniente da stalle situate esclusivamente nella sua zona di origine, cento litri per ogni forma da 12 kili, a cui vengono aggiunti fermenti, caglio e Penicillium roqueforti, quella muffa che sarà poi responsabile della sua erborinatura.
Una volta eliminato il siero, la cagliata viene messa negli stampi, detti fascere o fassiroli, pressata, timbrata e fatta riposare al fresco per bloccare l’acidità.
Comincia quindi per le forme il cosiddetto “purgatorio”, un processo lungo da sei a dieci giorni grazie al quale, attraverso salature e riposi, il formaggio spurga.
Poi la foratura, con la quale il gorgonzola potrà finalmente assumere la sua caratteristica erborinatura: ben cento fori per forma, sistema che permetterà all’ossigeno di penetrare ed alle muffe di formarsi.
Sessanta giorni di stagionatura per quello dolce e novanta per quello piccante, la sanificazione della crosta, la successiva selezione delle forme e il confezionamento con fogli di alluminio concludono il processo di produzione di quello che, insieme a parmigiano, grana e mozzarella, è il più famoso dei formaggi italiani, all’estero come in patria.
Val la pena ricordare che il gorgonzola è un alimento vivo e come tale continua la sua maturazione anche nel frigorifero di casa. E’ bene quindi consumarlo entro qualche giorno e conservarlo ben avvolto in fogli di alluminio.
In versione dolce o salata è sempre stato un formaggio molto utilizzato in cucina: fedele accompagnatore di risotti, gnocchi, insalate, pizze, focacce, paste, polente e chi più ne ha più ne metta. Stupisce scoprire che negli ultimi tempi il gorgonzola ha varcato i confini del mondo salato per affacciarsi, neanche tanto timidamente, a quello dei dolci.
E’ di Marco Sacco una millefoglie al cioccolato con bavarese di lamponi, leggera fonduta di gorgonzola e salsa al rum.
Di Luisa Valazza la pera Williams con gorgonzola e noci in salsa al Barolo.
Ed ultima in ordine di nascita la torta di Ernst Knam con pere, cioccolato e gorgonzola.