Dalle nostre parti, il nome “curry” viene dato ad una polvere gialla dal sapore molto speziato e piccante, dal profumo dominante, evocatrice di cucina indiana ed altre cucine asiatiche. Quella classica è una miscela di diverse spezie: pepe nero, cumino indiano, curcuma, semi di coriandolo pestati, cannella, chiodi di garofano, zenzero, noce moscata, fieno greco e peperoncino.
Questa miscela standard, creata a bella posta per gli Inglesi residenti in India nel periodo della colonia e tornati poi in Inghilterra, non rientra nelle miscele tradizionali indiane, le quali, d’altronde, non si chiamano nemmeno “curry” ma “masala”.
In effetti, in India la parola “curry” non indica un ingrediente ma un modo di cucinare, in particolare gli stufati di carni e/o verdure. Quindi, per ogni “curry” esiste una miscela particolare, un “masala” specifico, che pu essere composto da decine di spezie diverse a seconda dell’uso. Conosciamo anche noi la parola “masala”, perché da anni ormai troviamo in commercio il famoso “garam masala”, una miscela piccante del sud dell’India, e il “tandoori masala”, generalmente rosso o verde, che si usa per le carni cotte al forno. In India, il “masala” che noi chiamiamo “curry”, almeno la miscela originale del sud che fece da base al “curry” occidentale, si trova sotto forma di polvere ma anche sotto forma di pasta, in versione “hot” o “mild”, ed è originaria di Mumbay (Bombay) o Chennay (Madras). Col tempo, è stata adottata in altri paesi asiatici, in particolare in Cina, in Giappone e nell’Asia del Sud-Est. In Cina e in Indonesia è usata prevalentemente per piatti di carne, mentre in Giappone, dove si chiama “karè”, e in particolare in Thailandia, si usa per diverse preparazioni, anche vegetali. In Thailandia, addirittura, ne esistono tre versioni: il “red curry”, carico di peperoncino e indiavolato, lo “yellow curry”, più ricco di curcuma e meno piccante, e il “green curry”, profumato al basilico thai e meno piccante degli altri due. Il “karè” giapponese è molto profumato ma mediamente piccante.
La polvere di curry, poi, è approdata nelle cucine di tutte le isole dell’Oceano Indiano, di Madagascar, delle Seychelles, della Réunion, di Mauritius, per arrivare in Africa nera dove ormai si usa in quantità.
Le miscele di spezie, conosciute da millenni dalla medicina ayurvedica indiana, hanno poteri curativi legati alle proprietà di ogni singola spezia e alle loro “alleanze”. La medicina occidentale ha scoperto, molto dopo quelle asiatiche, che alcune tra le spezie più utilizzate hanno caratteristiche antibatteriche, antisettiche, antibiotiche e addirittura, soprattutto per quanto riguarda la radice di curcuma, antitumorali. Non bisogna credere, però , che il consumo di queste spezie com’è praticato in occidente sia così salutare come può esserlo in oriente dove il consumo è molto più frequente, anzi quotidiano, e quantitativamente più importante.
Per terminare, ricordo che esiste in India ed altre zone attinenti un albero che si chiama “curry tree” (Murraya koenigii), le cui foglie vengono usate nelle cucine locali come condimento. Le “curry leaves” o foglie di curry si possono trovare anche da noi, seccate, nei negozi specializzati in prodotti alimentari asiatici. La medicina ayurvedica usa la “curry leaf” come regolatrice della glicemia nei diabetici.