Quando andiamo in giro per il mondo con la curiosità gastronomica ben sveglia, ci imbattiamo a volte in cibi che in loco vengono considerati come molto comuni, buoni e normali, mentre per noi rappresentano spesso cibi che eufemisticamente, e a torto, chiameremmo “schifezze”.
A torto: chi siamo noi per decidere che quelle cose sono schifezze mentre tutti i nostri alimenti sono delizie? A torto: magari non riflettiamo sul perché esistono, in certi paesi, “strani” alimenti, che in realtà garantiscono il giusto apporto di vitamine o di proteine che altrimenti mancherebbero. A torto, ancora, perché non ricordiamo mai che, se tutto il mondo NON è paese, il mondo degli altri è comunque paese loro e ha diritto parimenti alla propria dignità in tutte le proprie scelte alimentari, perché, alla fine: de gustibus…
A questo proposito, io che sono cresciuto in Africa Nera in una casa francese, ricordo che François Masumba, il nostro cuoco congolese, che per altro aveva imparato a cucinare europeo a meraviglia, si rifiutava di eseguire le ricette a base di formaggi, e portava in tavola il mitico plateau de fromages di fine pasto reggendolo con una mano mentre con l’altra si tappava teatralmente il naso, mostrando una faccia alquanto disgustata. Mia madre rideva mentre lui imprecava sottovoce nel suo bel dialetto batschokwe, e non in swahili, così che non potevamo nemmeno capire gli improperi che ci indirizzava. Nello stesso tempo, magari, sua moglie Elisa gli stava preparando per cena un bel piatto a base di larve di termite, delle cavallette fritte come stuzzichino d’aperitivo, un piccantissimo spezzatino di coccodrillo e la sempiterna bunga, la polenta di farina di manioca che usano come pane e che noi trovavamo terribile per la consistenza e l’odore.
Fossi cresciuto in Asia, avrei probabilmente incontrato sulla mia strada il famoso “vino di serpente” cinese, una bevanda alcolica a base di riso, nella quale si immerge un serpente intero o a pezzi, oppure al quale si aggiungono i fluidi corporei del medesimo, come il sangue. Esiste anche una versione al feto di topo. Sempre in Cina avrei potuto assaggiare le famose “uova di cento anni”, che in realtà non hanno più di alcuni mesi ma hanno una consistenza e un aspetto che ve li raccomando! Oppure le uova tong zi dan, che significa “uova del ragazzo vergine”, e che sono semplicemente bollite ma nell’orina di un ragazzino vergine, appunto. O ancora i nidi di rondine in una preziosa zuppa dal prezzo altissimo ma comprensibile: i nidi vanno raccolti sulle volte di antiche grotte, con sforzi ginnici e attrezzature sofisticate.
Sempre in Cina, e pare anche in Indonesia, se mi avesse invitato a pranzo o a cena qualche imperatore o qualche re, avrei potuto assistere alla trapanazione del cranio di una scimmia viva, e mi avrebbero dato un lungo cucchiaio d’oro con il quale attingere alla suprema delizia che rappresenta il cervello fumante dell’animale agonizzante. Buoni, bevete un sorso d’acqua e passa la nausea! Sembra che questa pratica non sia più in uso da quando in quelle zone non esistono più gli imperatori e i re.
In Giappone, poi, avrei potuto giocare alla roulette russa assaggiando la deliziosa carne del pesce palla fugu, o meglio ancora il suo fegato, il quale contiene un veleno talmente potente che ti stende morto in pochissimo tempo, bloccandoti completamente il sistema nervoso. La parte del fegato che contiene il veleno viene rimossa da cuochi esperti che possiedono addirittura un diploma statale, ma qualche volta una quantità infinitesimale di veleno scappa al loro controllo e… That’s life!
In Giappone e in Corea mi avrebbero portato un bel pesce vivo da sfilettare a vista senza averlo ucciso prima, oppure un pesce fritto che miracolosamente muove ancora la testa dopo che il resto del suo corpo è stato immerso nell’olio bollente. Oppure uno stufato di seppie marinate per settimane nei propri succhi, il famoso shiokara che incanta il gusto e soprattutto l’olfatto. In Corea poi, si mangia il polpo crudo ancora vivo e fatto a pezzi, con le ventose che si attaccano simpaticamente alla lingua e al palato, facendo anche soffocare qualcuno…
Preferireste le tarantole fritte? In Cambogia le servono con una salsa a base di lime e pepe. Sono carine, sul piatto sembrano vive! E le cavallette? Dall’Africa all’Asia e al Sudamerica sono un cibo comune a milioni di persone: cibo gratuito, abbondante, a quanto si dice anche sfizioso e molto ricco di minerali e proteine. Larve? Di molti tipi e in molti paesi, in Africa e Asia, ma pure in Australia e Nuova Caledonia dove i locali le consumano da secoli.
In Asia del Sud-Est esiste anche un frutto talmente puzzolente che è proibito portarlo sui mezzi pubblici e negli alberghi. Si chiama durian, sembra una grossa papaya con le spine e la sua polpa cremosa è deliziosa, ha sapore di vaniglia. E vale la pena di citare il bulbo africano di un bel fiore viola, che somiglia ad una noce di palma arancione acceso, la cui polpa piena di semi duri è talmente aspra che vengono le lacrime agli occhi a mangiarla. Si chiama ntundu o matungulu, e noi, da bambini, ne andavamo pazzi! In Islanda, come ha mostrato Gordon Ramsay in una trasmissione televisiva di qualche anno fa, amano mangiare il cuore di un bellissimo piccolo pinguino chiamato “puffin”. L’uccello è adorabile, bianco e grigio scuro con becco rosso e arancione e pinne arancioni, e si può proprio dire che ha buon cuore!
Sempre in Islanda amano molto la carne di squalo interrata per diversi mesi. Fermenta nei propri succhi fino ad uno stato prossimo alla decomposizione. Dicono che sia molto buona.
E per concludere in gloria, un ulteriore elenco di curiosi cibi: la foca cruda, dalla bestia appena uccisa, leccornia per gli Inuit artici del Canada; l’olio di argane marocchino, ricavato dai semi dell’arganier digeriti e defecati dalle capre che si arrampicano sull’arbusto per mangiarli; il caffè Black Ivory, carissimo, fatto con i semi di caffè recuperati dagli escrementi degli elefanti tailandesi; gli embrioni di anatre fertilizzati nel guscio, nelle Filippine; teste e interiora di pesce fermentati dagli Yupik dell’Alaska; le Rocky Mountains oysters dei cow-boy statunitensi, che ostriche non sono ma testicoli di toro fritti; tutte cose a noi estranee, che magari avremmo difficoltà persino ad assaggiare, ma che fanno parte dell’alimentazione del mondo.
Poi c’è la zona geografica a noi più vicina: in Francia, per esempio, troviamo certi formaggi strani come la cancoillotte, una crema di formaggio talmente fermentata che si deve tenere all’esterno, sul davanzale della finestra di cucina; o il camembert e il brie come li amano in Normandia: “che camminano da soli”. Ma anche l’Italia ha i suoi cibi insoliti, non adatti a tutti i gusti: la colatura di alici, discendente del garum degli antichi romani, il formaggio sardo casu marzu, pieno di larve, la ricotta scanta pugliese, talmente fermentata che sembra condita con peperoncino; e in tutto l’Occidente cozze, ostriche e altri bivalvi si mangiano anche crudi e vivi. Insomma, ognuno ha i propri “cibi strani”, strani per gli altri e perciò da assaggiare per capirli, questi altri…
Ora che avete avuto il coraggio di leggere fino in fondo, vi siete meritati una bella pastasciutta condita come meglio vi pare!