La televisione, non solo italiana, pullula di cucine, pentole e gergo più o meno commestibile che la rete, per parte sua, non fa che riprendere e amplificare nelle nostre vite quotidiane, sbocconcellando programmi e personaggi in chicche “personalizzate” via youtube, facebook, post e cinguettii. In tutta questa ridondanza mediatica a volte cacofonica un elemento colpisce più di tutti: la cattiveria.
Il celebre programma di Gordon Ramsay Hell’s kitchen (foto tratta da: www.iloveseaworld.com/tag/gordon-ramsey/?jdfwkey=uxvxl)
E qui è il caso di precisare subito che la cattiveria corre, almeno in cucina, sul filo del genere.
Cattivi, esplicitamente cattivi, sono gli uomini, i maschi, gli chef mentre l’altra parte del cielo, quello femminile, sembra ancora “prigioniera” e al sicuro nel cliché rassicurante e immarcescibile del focolare domestico. Isolate dal mondo e dalla guerra le cuoche si giostrano nel quotidiano, aggiustando secondo coscienza (o incoscienza) il filo che le lega alla tradizione alla luce della seduzione del preparato già pronto, della scorciatoia del pressapoco.
Gli uomini, i maschi, gli chef, loro, fanno sul serio e imbracciata l’armatura vanno in battaglia.
Certo, si dirà, l’organizzazione stessa di una cucina professionale (a differenza di quella casalinga) ha la necessità strutturale, e non solo televisiva, di funzionare come un meccanismo perfetto, e dunque per conseguenza esige gerarchia. Del resto le parole non ingannano e in cucina come nella cariera militare ci sono brigate, gradi conquistati sul campo, divise impeccabili e diversificate, c’è un gergo tutto speciale e c’è soprattutto chi comanda, con la voce più o meno grossa.
Ma la televisione? La televisione in tutto questo sguazza a suo agio, lo assorbe, lo ingloba e lo fa suo. Lo fa naturalmente con le dinamiche che le sono proprie e che, a loro volta, si sono evolute lungo la storia breve e lunga di questo medium tanto quotidiano da diventare scontato, tanto “umile” da rimanere acceso come la luce nel bagno, da scorrere come l’acqua in cucina (Orson Welles).
La televisione è quotidiana dunque, quasi quanto l’atto del mangiare, ma esattamente come nella dieta alimentare anche nella dieta televisiva il flusso catodico vive di ricorrenze e di sorprese, di abitudine e di colpi di scena, di scontato e di imprevedibile. Per questo come se seguissimo un feuilleton ottocentesco ci appassiona il romanzo ma soprattutto l’appendice, seguiamo le puntate di un serial, di una soap e persino di un reality show per essere confermati e per essere sorpresi, per riascoltare sempre la stessa storia come volevamo da bambini e allo stesso tempo per rimanere di stucco, perché davvero che finisse così non ce lo aspettavamo.
Ecco che in tutto questo script la cattiveria entra come un ingrediente passepartout: conferma e stupisce, sempre uguale e ogni volta diversa ci regala un piccolo brivido calcolato di misura che ci gustiamo, condizione indispensabile, al riparo trasparente ma consistente dello schermo. Succede, ed è successo spesso in televisione.
Oggi succede nella rappresentazione televisiva della cucina che, come abbiamo visto, nella sua declinazione maschile si presta bene come pochi altri ambienti, al “sadismo” da caserma. Capostipite ed eroe indiscusso in questa rappresentazione del mestiere è certamente Gordon Ramsay che nelle sue cucine da incubo, ma soprattutto in Hell’s kitchen e in Master chef ha inaugurato lo stilema burbero e graffiante dello chef che urla, umilia, sputa, assai più sergente di Full Metal Jacket che pedagogo illuminato nell’arte della maieutica.
E noi davanti al video godiamo voyeristicamente della disgrazia altrui, dell’umiliazione pungente, dell’ansia da prestazione saltellando a piacere nell’identificarci con le due parti, quella della vittima (che in fondo potrebbe sempre salvarsi) e quella del carnefice. Lo facciamo certo perché siamo al riparo, perché sappiamo che di una rappresentazione si tratta, perché se non è tutto finto certamente è tutto televisivo.
I giudici dell’edizione italiana di Master Chef: Bruno Barbieri, Carlo Cracco e Joe Bastianich (foto tratta da: http://www.trgmedia.it/notizia/Dopo-il-nuovo-successo-di-Masterchef-oggi-su-TRG-l-39-intervista-a-chef-Barbieri-ore-14-15-e-ore-/71192/news.aspx)
E allora i pettini di mare che che Ramsay getta una volta no e due sì nella pattumiera o peggio sul pavimento, il tono sprezzante venato di disgusto di Cracco, il feroce italiano Little Italy di Bastianich sono cifre televisive collaudate che riprendono stilemi del mezzo affilati da anni recenti di reality e anni più antichi di televisione chiamata verità. In cucina, lo ripetiamo, si sono ambientati benissimo trasformandola in moderna e sofisticata caserma, sostituendo il SìSignore con il SìChef, le esercitazioni nel fango con le prove a tempo e mantenendo intatto lo stereotipo punitivo del pelare patate.
La rappresentazione televisiva di questa cucina è dunque un mare tempestoso che non a caso Maurizio Crozza ha saputo parodiare con un’intensità carica di intelligenza; la sua imitazione di Joe Bastianich fatta di “muoro” “piss” schit” non fa che caricare ciò che è già carico interrogandosi con ironia sul nostro piacere di spettatori seduti sul divano nell’assistere al naufragio dei partecipanti allo show.
Suave, mari magno turbantibus aequora ventis,
e terra magnum alterius spectare laborem;
non quia vexari quemquamst iocunda voluptas,
sed quibus ipse malis careas quia cernere suave est
È dolce, mentre nel grande mare i venti sconvolgono le acque,
guardare dalla terra la grande fatica di un altro;
non perché il tormento di qualcuno sia un giocondo piacere,
ma perché è dolce vedere da quali mali tu stesso sia immune.
Lucrezio, De rerum natura, II, 1-4.