L’indivia belga, al pari di gauffres, patatine e birra, è più che un prodotto tipico del Belgio, è quasi un simbolo identitario, si trova in mille preparazioni e ricette, nel menù di ogni brasserie, nei sacchetti della spesa di ogni famiglia, in ogni orto.
Forse perché la storia ne fa risalire la creazione al 1830, anno dell’indipendenza del Belgio? Forse perché non esiste selvatica in natura ma i Belgi l’hanno elaborata dalle radici della cicoria Cichorium intybus? La maggior parte delle storie sull’origine dello chicon (in francese belga, indive in francese di Francia, witloof in fiammingo) racconta che il caso ha giocato la sua parte nella nascita di questa insalata, definita nel libro La Cuisine Traditionelle Belge (di Marc Declerq) “il germoglio ipertrofico della cicoria”.
Dobbiamo ringraziare Jan Bremmers, contadino di Scharbeek (che un paio di secoli fa era campagna e ora è uno dei 19 comuni che compongono la regione di Bruxelles Capitale) che nascose in cantina alcune radici sotto uno strato di sabbia prima di abbandonare la sua fattoria durante la rivoluzione del Brabante? O un contadino che nascose le radici prima dell’arrivo degli ispettori delle imposte o quell’altro che le gettò nel mucchio del letame salvo poi veder spuntare i germogli? O Franciscus Bresiers, responsabile del giardino botanico di Bruxelles (che si trovava nel magnifico palazzo di vetro e ferro che adesso è un centro culturale alla fermata della metro coerentemente chiamata BOTANIQUE), che si è avvalso di tutta la sua competenza professionale per sviluppare un sistema di coltivazione che permettesse di produrre gli ortaggi conici, bianchi e compatti che aveva ottenuto per caso?
Poco importa, ma vale la pena di dire che i sistemi moderni di coltivazione industriale sono tali da aver sostituito la coltivazione a terra dell’indivia belga con la coltivazione idroponica: in sostanza, le insalate stanno nell’acqua e non nella terra e sono irrorate di nutrimenti piuttosto che assumerli dalla terra attraverso le radici.
E dire che, secondo Sophie, la coltivazione è semplicissima e non richiede più di due giornate di lavoro all’anno: la prima a metà maggio, quando si seminano le indivie belghe in un terriccio leggero e le si ricoprono di 1 cm di terra. La seconda in questi giorni di inizio novembre, prima che comincino le gelate, quando si trasferiscono le radici in una cassetta foderata di un sacchetto di plastica, si stringono l’una all’altra verticalmente, si ricoprono di terra (o torba o sabbia), si bagnano abbondantemente, si chiude il sacchetto e si mette il tutto in cantina. Il raccolto comincia dopo 3 o 4 settimane, e la produzione è più tenera e gustosa di quella che si trova in commercio. Sophie suggerisce ai più pigri di limitare le attività ad un solo giorno di novembre, comprando le radici al mercato, dove si vendono a mazzi di 50.
Se la vostra cantina, come la mia, è troppo ingombra anche per una cassetta di germogli e la vostra vita già abbastanza complicata anche senza che vi cimentiate nella coltivazione diretta, quando passate da Bruxelles chiedete al banco del mercato che vi diano l’indivia di terra – e se ve lo dimenticate, non preoccupatevi, che ve lo chiederanno loro!
Potete anche cercare il marchio di origine che garantisce il rispetto dei metodi tradizionali di coltivazione dei produttori della regione Bruxelles, che si sono riuniti in associazione nel 1995.
Le foglie di indivia belga sono barchette perfette per l’aperitivo, farcite con formaggio alle erbe o tartare di salmone. Potete mangiare l’indivia cruda in insalata con il songino e le noci, stufarla intera nel burro color nocciola con (o senza) aglio, o noce moscata o zucchero o limone; potete farne una tarte tatin salata, aggiungerla nel paté fatto in casa, accompagnare la selvaggina – come nella famosa ricetta del fagiano alla moda di Bruxelles.
Nella distilleria accanto al Museo della cicoria di Kampenhout, nella regione del Brabante fiammingo, ne fanno l’acquavite e un mastro cioccolataio della zona, non potendo farcirne i cioccolatini, propone comunque cioccolato bianco a forma di chicon! Se proprio volete convincere anche i piccoli di casa a mangiarla, allora dovete gratinarla. Eccovi la ricetta-non-ricetta di questo gran classico della cucina di famiglia:
per 4 persone
8 chicons (di terra, ma che ve lo scrivo a fare a questo punto?)
8 fette di prosciutto
1 l di besciamella (secondo i miei gusti ne bastano 0,5 l, ma non sono io la belga di famiglia e mi rimetto alla tradizione altrui)
200 g di Gruviera – in un pezzo intero, che grattugerete voi, non lasciatevi tentare dal gruviera già grattugiato che nei supermercati qui va per la maggiore.
Stufate l’indivia belga in poco burro nocciola e avvolgere ogni insalata cotta in una fetta di prosciutto.
Mescolate metà del formaggio alla besciamella, mettete la metà della salsa sul fondo di una teglia, aggiungete l’indivia, coprite con il resto della salsa, grattugiate quel che resta del formaggio e infornate a 180° sotto il grill fino a che non si forma la crosticina dorata.
Grazie a Sophie per le fotografie e i dettagli agricoli e botanici e grazie a Johan che stasera, per stare in tema, mi ha cucinato l’indivia stufata.