Cos’è il riso glutinoso? Innanzitutto è apparentemente un ossimoro, poiché il riso è notoriamente un alimento privo di glutine, e così è anche per questo ecotipo che viene da Oriente. L’oryza sativa glutinosa si chiama così perché con la cottura diventa collosa, a causa della massiccia presenza di amido (precisamente amilopectina) e di una quantità irrilevante di amilosio.
L’aggettivo di questo riso richiama dunque la proprietà del glutine di essere colloso; guarda caso, il dizionario Garzanti ci dice che il termine latino glūten ha il doppio significato di colla e glutine.
Il suo nome in inglese infatti è “sticky rice” (sticky vuol dire appunto appiccicoso) e in francese “riz gluant” ovvero riso colloso.
Chiarita l’etimologia, il vocabolo non evoca di primo acchito qualcosa di gradevole da mangiare, almeno per noi italiani che associamo ad esempio la parola “colloso” ad una pasta scotta e immangiabile. Invece il riso glutinoso è leggermente dolce e buono di sapore, i suoi grani una volta cotti si attaccano in modo non fastidioso gli uni agli altri. E’ molto apprezzato nella cucina asiatica, specialmente in quelle laotiana, thailandese, cinese e giapponese, preparato in molti modi diversi.
Il Laos ne è il più grande produttore, ed il khào niaw ha un ruolo molto importante nell’alimentazione di base della popolazione, soprattutto nella valle del Mekong, dove è praticamente l’unico tipo di riso utilizzato.
Nella cucina cinese se ne fa grande uso: può essere cotto al vapore o con olio e salsa di soia per essere poi servito con funghi shitake e gamberi, ma anche semplicemente cotto in acqua; è molto utilizzato sotto forma di farina, per addensare, come ingrediente nei dolci o per ottenere delle bevande alcoliche, come lo Jiuquanjiu. Le tang yuan, polpette multicolori di farina di riso glutinoso servite in un brodo dolce, vengono preparate durante il solstizio d’inverno o in occasione della prima luna piena, che è simboleggiata appunto dalla perfetta sfericità delle polpette.
In Thailandia il riso glutinoso è fortemente legato alle tradizioni gastronomiche, e lo si ritrova in moltissime ricette. Ma ci sono tradizioni antiche, non strettamente gastronomiche, legate a questo alimento. Basti pensare che in passato esso era al centro di un rito preparatorio che doveva essere eseguito prima di costruire una casa. Una volta scelto il terreno sul quale sarebbe stata costruita, su di esso venivano lasciate tre ciotole, in attesa che i corvi ne mangiassero: una con il riso glutinoso bianco, la seconda con il rosso, e la terza con il riso nero.
Se i corvi avessero mangiato il riso bianco, ciò era di buon auspicio, la casa sarebbe stata felice e senza problemi, ma se avessero preferito il nero o il rosso, avrebbe voluto dire che il terreno non era adatto per costruire, e il presagio negativo non dava via di scelta: bisognava abbandonare l’idea di edificare su quel terreno.
Un cibo di strada stagionale – perché è indispensabile che il mango sia nella sua stagione, e quindi perfettamente maturo – è il riso glutinoso al latte di cocco con il mango. Anche la Thailandia ha la sua bevanda alcolica, il Sato, una birra ottenuta dalla fermentazione di questo riso (curiosamente conosciuto con il nome di rice wine) .
In Giappone il riso glutinoso, che è arrivato come molti altri alimenti portato dai cinesi, prende il nome di mochigome, e viene utilizzato principalmente per preparare i mochi (rice cake), sorta di gnocchi sagomati in forma rettangolare o tonda ottenuti dal riso cotto al vapore e poi pestato fino ad una consistenza omogenea e liscia. E appiccicosa, ovvio.
La procedura tradizionale giapponese con cui si pesta il riso, una volta cotto, è piuttosto particolare, e difficilmente riproducibile a casa, a meno che non siate forniti di un mortaio di dimensioni fuori dell’ordinario, di un paio di grandi pestelli di legno pesanti 5 kg e di almeno due personaggi di notevole stazza e vigore che si alternino, senza possibilmente ammazzarsi a vicenda, nel martellare il riso dentro il mortaio: in realtà servirebbe anche una terza persona, agile e veloce, che nell’alternarsi delle martellate riesca a dare una mescolata al riso e ad aggiungere un po’ d’acqua all’occorrenza, senza farsi colpire.
Quasi tutti comprano i mochi già pronti in commercio, che sono secchi e possono essere cotti in padella, o fritti, o aggiunti nelle zuppe.
Come racconta Grazia Canova Tura nel suo libro “Il Giappone in cucina”, una zuppa che contiene i mochi – l’ozoni – viene preparata per il Capodanno, e poiché i mochi inumiditi diventano oltremodo gommosi e difficili da masticare e deglutire, andrebbero mangiati a piccoli bocconi: l’ingordigia però è traditrice, e non è raro trovare sui giornali, nei giorni seguenti, notizie di persone soffocate da bocconi troppo grandi.
Io, nonostante il detto “il mochi va fatto da chi lo sa fare”, ho provato a farlo in casa partendo dal riso glutinoso; se vi va provatelo e, se lo mettete in zuppa, mi raccomando, bocconi piccoli! Qui di seguito la versione fritta, che è invece molto croccante e tale resta anche se conservata per alcuni giorni semplicemente in una ciotola, coperta ma non necessariamente ermeticamente chiusa.
Piccola nota: ci sono tre varietà di riso glutinoso (a grano corto, medio e lungo) e bisognerebbe usare il riso giusto per ciascuna ricetta. Per le ricette thai viene usato il tipo a grano lungo, mentre per i mochi giapponesi andrebbe usato il riso a grano corto.
Un piccolo trucco per la cottura del riso al vapore, se non siete dotati di rice cooker o di cestello tradizionale di bambù, l’ho scovato qui: il comune cestello di acciaio (in possesso della sottoscritta) ha i piedini corti, e può essere usato solo in una padella bassa di circa 20 cm di diametro. Questo fa sì che si possa mettere poca acqua rispetto a quella necessaria per portare a completamento la cottura prima dell’evaporazione completa. Per evitare di doverla raboccare, e per lasciare maggiore spazio tra la superficie dell’acqua ed il cestello (ma anche perché è un po’ noioso da lavare), un metodo stile MacGyver, ma che ho trovato comodo, consiste nell’utilizzare un comune paraschizzi (quello che si usa quando si frigge) poggiato su una teglia tonda di diametro pari o leggermente superiore . Quando l’acqua nella teglia bolle si sistema il riso sul paraschizzi formando uno strato di circa 3 dita di spessore e si copre con una pentola (o ciotola) di acciaio, ed ecco la nostra vaporiera fai-da-te.
Il mochi è spesso chiamato omochi, dove la “o” iniziale è indicativa della grande importanza che viene data ad alcuni alimenti, che acquistano questo prefisso.
Per familiarizzare con questo tipo di riso vi lascio due ricette, una giapponese, che è più un procedimento che una ricetta (preparazione del mochi fritto), e il cibo di strada preferito in buona parte della Thailandia, il riso glutinoso al latte di cocco e mango.
MOCHI FRITTO
Ingredienti:
riso glutinoso 200 g
Olio di arachidi per friggere
Mettete in ammollo il riso in acqua fredda per qualche ora, meglio se per tutta la notte. Passato questo tempo cuocetelo a vapore per circa 20 minuti, facendo attenzione, se usate un cestello con i piedini bassi come quello che ho usato io, che l’acqua della casseruola sottostante non si consumi, nel caso reintegratela con altra acqua bollente. A metà cottura giratelo un po’ con un cucchiaio (anche se usate il metodo del paraschizzi).
Il riso a fine cottura dovrà risultare morbido. A questo punto dovrà essere pestato fino ad ottenere una pasta omogenea (e appiccicosa). Potete provare il metodo tradizionale (o quasi) con il mortaio, aggiungendo pochissima acqua, ma non è cosa semplice e tanto meno veloce. Un buon mixer risolverà la questione.
Formate delle piccole focaccette rotonde e posatele su un vassoio, oppure, se volete realizzare dei mochi quadrati da tagliare con il coltello, disponete l’impasto in uno strato alto 2 cm circa. Se l’impasto è troppo morbido fate asciugare i mochi prima di friggerli, lasciandoli semplicemente all’aria. Nel caso in cui abbiate optato per i mochi quadrati, vi conviene lasciar rassodare l’impasto per un’ora, poi tagliarlo, disporre i mochi su un vassoio distanziati di qualche cm, e farli asciugare ancora. In caso contrario i bordi non asciutti faranno sì che il mochi tenda a disfarsi mentre frigge.
Riscaldate l’olio in una padella e friggete i mochi pochi per volta, facendo attenzione che non si tocchino: cominceranno a gonfiarsi piano piano tendendo a toccarsi (e ad attaccarsi tra di loro). Toglieteli quando sono dorati.
STICKY RICE CON COCCO E MANGO
Ingredienti:
150 g di riso glutinoso tenuto in ammollo per qualche ora (o tutta la notte)
250 ml di latte di cocco
una presa di sale
Un mango*
*Il mango dovrebbe essere alla giusta maturazione, quando la polpa ha un colore giallo vivo ed è dolcissima: non è un’impresa facilissima trovarne uno!
Preparate il riso cuocendolo al vapore come descritto nel procedimento per i mochi. Lasciatelo intiepidire.
Mettete il latte di cocco in un pentolino e riscaldatelo fino al bollore, mescolando bene per togliere tutti i grumi. Spegnete e aggiungete il sale e lo zucchero, mescolando bene. Attenzione a non far bollire insieme latte di cocco e zucchero, la cottura di quest’ultimo tenderebbe a far diventare un po’ grigio il latte.
Mescolate bene il riso con il latte di cocco così addolcito. Servite il riso tiepido con dei pezzetti di mango fresco.
sto usando questo tipo di riso. Lo trovo ottimo e d’effetto come accompagnamento a manzo saltato con verdure alla thai.
Ottimo cotto con latte di cocco e zucchero di palma morbido e servito con abbondante mango tagliato fine fine come dessert.
Io lo trovo presso un negozio di prodotti africani/asiatici.
Ciao Elvira….volevo chiederti se è possibile fare una colla vischio naturale per la cattura di mosche e altri insetti tipo zanzare…..se si come posso fare? Mille grazie marco