Nel suo libro “In principio era la tavola”, Adam Gopnik racconta la storia più o meno così.
Secolo XVIII, venticinquennio che precede la Rivoluzione Francese: è allora, a Parigi, che nasce il ristorante moderno. Gli studiosi attribuiscono l’evento, a suo modo anch’esso rivoluzionario, a cause intellettuali, commerciali e morali.
Ovviamente esistevano anche prima dei luoghi in cui sfamarsi a pagamento, le taverne, le locande, le tables d’hôte, ma si mangiava seduti a tavole comuni, gomito a gomito con estranei talvolta (spesso) sbronzi, si consumava il piatto preparato quel giorno, piacesse o meno, e le donne ne erano escluse.
L’evoluzione della società portò a considerare sgradevole ciò che prima era normale; in più, da un lato le vecchie articolazioni in classi erano in via di dissoluzione, dall’altro andava affermandosi una concezione della salute che faceva ritenere pesante e poco sano il cibo “obbligato” da taverna e prediligere invece piatti più leggeri e semplici. Nel frattempo, nella zona del Palais Royal nasceva anche il moderno negozio aperto sulla strada.
Fu l’intreccio di questi fattori a portare all’apparizione dei primi ristoranti modernamente intesi, benché fino a qualche decennio fa la tesi più diffusa fosse quella che ne riteneva artefici i cuochi dell’aristocrazia rimasti disoccupati a seguito della rivoluzione.
Comparvero sotto i portici del Palais Royal, caratterizzandosi, inizialmente, per la proposta di cibo salutare, adatto a stomaci delicati, tra i quali quelli femminili, e a gusti meno grossolani; a dar loro il nome fu la principale pietanza offerta: i brodi, preparati in pentole decenti e serviti in piatti finalmente lindi. Era nato il bouillon, locale in cui chiunque avesse da pagare (poco, giacché il bouillon nacque popolare) poteva consumare un pasto comodamente seduto ad un tavolo a lui riservato e che gli garantiva sufficiente intimità, avendo la possibilità di scegliere le pietanze tra alcune alternative disponibili, seppur limitate. A fare il ristorante moderno arrivarono pian piano il menu vero e proprio, i camerieri in uniforme, gli arredi tesi a creare un’atmosfera accogliente.
Tra gli ideatori del nuovo modello, secondo alcuni ci fu l’imprenditore Mathurin Roze de Chantoiseau, che aprì il suo primo ristorante, definito una maison de santé, nel 1766; ospitalità, accoglienza e naturalità dei cibi ne erano i principi fondanti. Non per nulla alcuni dei primi menu dei bouillon promettevano lievi creme di riso, verdure di stagione, frutta fresca.
A fare dei bouillons una vera impresa ci furono, circa un secolo più tardi, gli Chartier, Camille ed Édouard, che crearono quasi una catena, aprendo locali in stile Art Nouveau in diverse aree di Parigi. Tra questi, il Bouillon Chartier, in Rue du Faubourg Montmartre, oggi monumento storico ma ancora attivo, per non dire attivissimo, come ristorante, ancora popolare quanto ai prezzi e molto, molto tradizionale quanto al cibo, che oggi, giacché mutano i tempi e pure le convinzioni, non ci appare più così salutare.
Per entrarci si affronta una lunga coda: niente prenotazioni. Ma l’attesa non è mai sfiancante, poiché il ristorante può accogliere circa 350 persone. Poi si viene condotti da un cameriere in gilet nero, papillon e parannanza bianca lunga fino alle scarpe attraverso la grande sala ridondante di specchi, stucchi, legni e ottone, in mezzo a un affollamento costante di avventori e al brusio pervasivo.
A meno che non si sia almeno in quattro, di certo il tavolo verrà diviso con qualcun altro (sì, in questo si è tornati alla taverna).
Si deporranno soprabiti e borse sulle griglie in stile portabagagli dei treni e ci si troverà di fronte a un menu che non potrebbe essere più classico, che si potrebbe definire anche démodé, se non fosse quasi commovente quella sua aria di tempi passati più rassicuranti, tempi in cui i piatti della carta non avevano bisogno di spiegazioni. Qui nessuno avrebbe un minuto per darvele, d’altronde, presi come sono, tutti, a correre da un tavolo all’altro e dalla cucina all’ingresso. Terrine de campagne e pot au feu, oeuf dur mayonnaise, poulet rôti, riz au lait. Nessuno sforzo di fantasia, antiche certezze.
L’ordine verrà annotato sul copritovaglia di carta e là sarà fatto il conto finale. Irrisorio. Si parte dalla zuppa del giorno a un euro e si arriva a un massimo di 11 euro, centesimo più, centesimo meno, per una costata di vitello o delle costine d’agnello con contorno; 20 euro per un menu completo di tre portate più acqua. Il che, unito al fascino del luogo, sia storico che antropologico, spiega perché il Bouillon Chartier sia costantemente pieno di turisti e parigini, benché serva cibo ininterrottamente dalle 11,30 del mattino a mezzanotte, per 365 giorni all’anno, e benché il cibo stesso non sia proprio niente di speciale.
Se non sopportate di dover dividere il tavolo con estranei, andate altrove.
Se volete cibo creativo, raffinato e ben presentato, andate altrove.
Se non sopportate la folla, andate altrove.
Ma se siete disposti a tollerare l’imperfezione per immergervi nella storia sfumata di leggenda, questo è il posto per voi. E se avete un piccolo budget, pure.
Buillon Chartier – 7, rue du Faubourg Montmartre, Parigi.
www.bouillon-chartier.com