Pino Cuttaia, custode di sapori

Per i cultori del buon cibo, quando si parla di Pino Cuttaia, chef stellato e titolare del ristorante La Madia di Licata, non occorrono presentazioni. Cuttaia è uno chef riconosciuto dai grandi della cucina non solo per ciò che è capace di creare, ma anche per il suo particolarissimo percorso di vita.

Emigrato in Piemonte, operaio all’Olivetti, da “numero” qualsiasi di una fabbrica, decide di diventare “persona”, padrone del proprio tempo, rispondendo alla sua vocazione per l’arte culinaria e al richiamo della sua terra, la Sicilia, dando così una svolta alla propria vita e diventando faber fortunae suae.

Ed è proprio da qui, nella sua isola, a Licata, che è voluto ripartire nel 2000 con la moglie Loredana nella cucina de La Madia. È un percorso duro, com’è dura, talvolta, la terra in cui è ritornato. Ma Pino sa che è da lì che si deve ripartire. Così, comincia a portare in tavola non solo piatti, ma il territorio, fatto di ingredienti semplici e antichi, gli stessi utilizzati e tramandati per secoli dalla gente del luogo. Dopo tanti anni di lavoro ed esperienza, oggi lo chef non bada solo alla bontà di un piatto, ma anche al suo equilibrio nutrizionale, concetto legato alla genuinità dei cibi sani.

Oggi, più che mai, è sempre più convinto di cosa vuol continuare a mettere sui suoi piatti.
“Ciò che voglio creare nella mia cucina è il piatto che sia principalmente gradito alla persona comune, al mio vicino di casa, per esempio. Non voglio ideare piatti per pochi, ma pietanze che diventino popolari tra la gente. In un’epoca in cui manca il tempo per tutto, in cui si corre senza fermarsi, in cui si è persa la ritualità di gustare un cibo sin dalla sua preparazione, sin dal momento in cui si reperisce la materia prima, ritengo che il cuoco di professione debba esercitare la propria vocazione diventando ‘custode’ di un sapere antico, che a causa della frenesia dei tempi moderni sta rischiando di perdersi”. Senza voler creare forzature in ambito culinario, il cuoco di oggi ha una funzione sociale, come quella del poeta antico custode della memoria storica e mitica collettiva, e crea un nuovo umanesimo della cucina, partendo dai bisogni di persone comuni.

La prova che Cuttaia sia, per il luogo in cui vive, un custode della memoria culinaria, ci è data dal suo grande desiderio di condivisione con chiunque voglia conoscere la sua storia e la sua cucina, che appassionati di buon cibo e bei racconti possono leggere sul suo libro Per le scale di Sicilia. Ma la vera testimonianza della sua tensione comunicativa è la sua disponibilità. Per esempio, ha tenuto delle lezioni di cucina in una scuola elementare della città, cercando di coinvolgere sia i bambini che i genitori al recupero di gesti, profumi, sapori spesso ignorati a causa della distrazione con cui si affronta la vita quotidiana: l’odore di una pigna che brucia o quello di una buccia di arancia grattugiata.

Cuttaia, tra i suoi fornelli, intende in primo luogo riappropriarsi del gusto e del gesto domestico per ridare umanità alla preparazione dei cibi. Ecco perché in questi anni la sua attività si è arricchita di una nuova creatura, un negozio, che con la moglie hanno battezzato Uovo di seppia, la dispensa di Pino Cuttaia. È un luogo accogliente e familiare dove i clienti possono trovare prodotti di nicchia, pasta fatta in casa, salse conservate secondo la tradizione siciliana e dolci squisiti creati con ingredienti semplici e freschi. Questo è il luogo dove Pino Cuttaia svela i segreti della sua cucina ai clienti che si trasformano in ospiti, con cui si sofferma a degustare del buon vino e le sue inimitabili arancine. Un giorno, mentre mi trovavo lì, rimasi colpita da una scena. Alla signora che stava ordinando dei ravioli di cappone per il pranzo di Natale, un po’ incerta sulla loro preparazione, Pino disse con tono rassicurante: “Le farò trovare del brodo preparato da me”. La cliente sorrise e io mi sentii spettatrice di qualcosa che dalle nostre parti un tempo era comune: la condivisione di pietanze speciali tra vicini di casa.

“Qui, in negozio – racconta Cuttaia mentre mi offre una tazza di caffè – riesco ad esprimere la mia promozione vocazionale, cerco di educare la gente al buono. Trovo questo posto un luogo d’incontro, ancor più del ristorante, dove io posso recuperare e risvegliare ciò che rischia di andar perduto. Un tempo, l’atto del cucinare era un rito familiare, un ponte fra anziani e giovani.” Ed è a questo punto del racconto che lo chef mi richiama alla memoria, ancora una volta, gesti di un’infanzia lontana, quando sbucciavo i piselli e le fave con mia nonna o quando tutti insieme, nelle assolate giornate estive, preparavamo la salsa di pomodoro, essenziale provvista dei tiepidi inverni siciliani.

Polpo sulla roccia

Cuttaia racconta di aver sentito la vocazione di fare il cuoco prima che questa professione diventasse show business, prima che gli chef diventassero star. Ed è questo che colpisce di lui, la semplicità e l’autenticità. Pino Cuttaia non sceglie trucchi, sebbene la presentazione dei piatti sia capace di catturare l’occhio. Niente orpelli, solo eccellenti abbinamenti, in cui gli ingredienti si esaltano vicendevolmente. Più che stimolare e appagare i sensi, lo chef licatese ama emozionare e, attraverso il recupero di vecchi sapori che desidera condividere con gli altri, è in grado di far provare emozioni che inevitabilmente richiamano l’”io narrante” proustiano nella descrizione delle madeleines.

Dopo questa bella discussione mi è più chiara la frase che Cuttaia ha fatto anche scrivere sulle pareti del suo ristorante, da poco ristrutturato con uno stile minimalista, per lasciare che l’ospite si concentri esclusivamente sull’esperienza sensoriale data dal cibo: “Il mio ingrediente segreto è la memoria.” Non solo cibo, dunque, ma emozioni e ricordi, recupero del passato come patrimonio prezioso, rispetto di tradizioni da custodire nel presente e da consegnare alle generazioni future. E oltre al professionista viene fuori l’uomo, che disdegna di esternare agli altri ciò che sa e sa fare. Ho letto una sua dichiarazione: “La mia generosità nasce dal non avere l’esigenza di riscatti sociali”. Eppure egli rappresenta, forse in modo inconsapevole, un riscatto per la sua terra, da cui molti, troppi scappano, per potersi realizzare, mentre lui, invece, in barba a tutti gli stereotipi, ha scelto di tornare e di vivere per realizzare se stesso, riscattando la sua terra.

Ristorante La Madia
Corso F. Re Capriata, 22
Licata (Ag)

Tutte le foto dal sito de La Madia

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Cettina Callea

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