“I ratafià sono liquori gustosissimi che si preparano coll’infusione, ordinariamente a freddo, di fiori, frutta, noccioli, e simili nell’acquavite o nello spirito di vino: di sovente si aggiunge qualche aroma; lo zucchero però è sempre indispensabile”.
Così recita Il cuoco pratico ed economo ossia l’arte di fare una buona cucina con poca spesa, edito nel 1864.
E proprio nel Sette-Ottocento questo liquore raggiunse grande fama e diffusione. Veniva spesso preparato anche in casa utilizzando un grande assortimento di frutti ed erbe: dalle classiche ciliegie ed amarene fino a caffè e fichi.
Al termine di un pranzo aristocratico settecentesco, raramente si serviva il caffè, più spesso il ratafià di ciliegie o di garofano, ci racconta il Brillat-Savarin.
Il ratafià di ciliegie – un tempo selvatiche – viene prodotto tradizionalmente sia in Piemonte (ad Andorno Micca, in provincia di Biella) che in Francia (a Grenoble). Entrambe le località rivendicano la paternità della bevanda sostenendo gli andornesi che nel Seicento fosse una specialità del convento di Santa Maria della Sala ed i francesi presentando prove di una invenzione settecentesca di tal Mathieu Teisserie.
Ad Andorno è ancora attiva la storica fabbrica “Cav. Giovanni Rapa” che prepara il ratafià dal 1880 ed è rimasta l’unica a mantenere viva questa tradizione in Piemonte.
Fin qui la storia. La leggenda narra invece che nell’anno Mille il liquore salvò dalla peste la popolazione di Andorno e la figlia del suo inventore, dapprima accusato di stregoneria, potè sposare il giovane Armando Golzio, figlio del più fiero nemico del padre, ristabilendo la pace tra le famiglie. Al notaio del luogo non restò che ratificare il lieto fine: “Et sic res rata fiat”. “Rata fiat!” ripeterono a gran voce i presenti e la locuzione latina sarebbe diventata il nome del liquore. Altre ipotesi fanno derivare il nome dal malese àrrak, acquavite di riso e tafia, acquavite di canna da zucchero, oppure una forma corrotta dal tedesco rot, rosso e saft, succo o ancora dal francese rectifié, sottinteso “brandevin”, acquavite (un’acquavite “rettificata”, cioè con un sapore migliore), la più probabile anche se la meno fantasiosa.
In Abruzzo si prepara la Ratafià (cambio di regione e cambio di genere) a base di amarene e vino rosso di Montepulciano. La tradizione vuole che le amarene mature vengano poste con lo zucchero in recipienti di vetro e lasciate al sole per trenta giorni e solo in seguito aggiunte al vino rosso e lasciate macerare per altri trenta giorni almeno. Il liquore viene poi filtrato e imbottigliato.
Bevande simili al ratafià si trovano in molti paesi europei oltre alla Francia di cui si è già detto: l’Ungheria, la Repubblica Ceca, il Portogallo e la Spagna. In Catalogna è quasi la bevanda nazionale e a Santa Colona de Farners ogni anno in dicembre si tiene la Fira de la Ratafià, qui preparata con noci verdi, erbe e spezie. Per gli amanti di Lisbona poi, è mitica la mescita A Ginjinha nel Largo de São Domingos, tempio dell’omonima bevanda a base di amarene, zucchero, acqua e cannella.
Per chi volesse cimentarsi nella produzione casalinga, ecco la ricetta del
Ratafià classico
Ingredienti: 1 kg tra ciliegie nere, ciliegie selvatiche e amarene, 75 cl di grappa di buona qualità, 1/2 l di alcol per liquori, un pizzico di cannella, 800 g di zucchero, 400 g di acqua di fonte.
Scegliere frutti ben maturi, lavarli, asciugarli delicatamente con uno strofinaccio, privarli del picciolo e snocciolarli raccogliendo tutto il succo. Mettere la polpa e il succo a macerare nella grappa per 40 giorni in un vaso di vetro ben chiuso che andrà esposto al sole e scosso di tanto in tanto; pestare nel mortaio i noccioli e versarli in un altro vaso di vetro, coprirli con l’alcool ed esporli al sole per 40 giorni. Trascorso tale tempo filtrare con un colino i noccioli e con un telo la frutta, spremendo bene per ottenere la maggiore quantità possibile di succo. Preparare lo sciroppo: far sciogliere lo zucchero nell’acqua e portare all’ebollizione; quando il liquido è trasparente, togliere dal fuoco e far raffreddare. Unire lo sciroppo ai due infusi alcolici, mescolare, imbottigliare e lasciar riposare almeno due mesi prima di gustare.
(Ricetta di Mina Novello – DocBi – Centro Studi Biellesi – 2008)