Si è conclusa da poche settimane Identità Golose Milano 2018, a detta di molti la migliore edizione di sempre del congresso internazionale degli Chef, da 14 anni sempre sulla cresta dell’onda.
I numeri parlano chiaro: 120 chef provenienti da ben 4 continenti, oltre 1.300 gli operatori della comunicazione accreditati, oltre 120 le aziende che hanno preso parte alla sezione espositiva, ma soprattutto, più di 16.000 visitatori che hanno partecipato alle tre giornate del congresso.
Tema centrale del dibattito è stato il Fattore Umano.
Forse i diretti interessati non ne avevano ancora preso coscienza, ma nell’aria c’è una sempre più crescente necessità di avere Chef meno star e più cuochi, dei veri Ambasciatori di quel Made in Italy che tanto sbandierano ma che non sempre si trova sulle loro tavole.
Fa piacere vedere come Identità Golose se ne sia fatta portavoce, tramite Paolo Marchi, ideatore e fondatore del congresso, e Claudio Ceroni, che hanno voluto, a inizio manifestazione, rimarcare questi semplici concetti: “È nostra intenzione mettere al centro delle tre giornate le relazioni umane, l’uomo-chef e tutti coloro che lo circondano sul lavoro, dalla cucina alla sala, al rapporto coi clienti e prima ancora artigiani e fornitori. È il momento, pur non rinunciando all’emozione per quello che c’è nel piatto, di spostare l’attenzione sul convivio, su quanto avviene attorno alla tavola, punto d’incontro di mondi. Se vi è una cosa della quale possiamo essere sicuri è che anche tra dieci anni non potremo comperare la convivialità su internet, mai. La ristorazione rimarrà uno dei massimi centri di sviluppo delle relazioni umane”.
L’esito è stato un tal successo che ha fatto dichiarare a Ceroni quanto tre giorni non bastino più, lanciando l’idea di una “Identità Golosa a Milano tutto l’anno”!
E siccome a Milano non si perde tempo, dall’idea si passa subito al progetto.
In via Romagnosi 3, ex sede della Fondazione Feltrinelli, sta nascendo Identità Milano, hub internazionale della gastronomia, con l’obiettivo di mettere a frutto l’esperienza di Identità Expo e dove sarà possibile assaggiare e testare tutto quello che normalmente viene solo “raccontato” durante il congresso annuale.
Sarà costituito da tre ambienti: una grande sala eventi aperta agli chef e alle loro associazioni; uno spazio all’aperto nel cortile interno; un ristorante che partirà a settembre dove si alterneranno ai fornelli i principali chef. Ci sarà però anche una brigata fissa, guidata come a Identità Expo da Andrea Ribaldone.
In tutto questo, si spera ci sia spazio anche per il vino e si dia la giusta importanza anche ai suoi produttori, che in fatto di “fattore umano” non sono secondi a nessuno, c’è solo da imparare da loro.
Il motivo è che, come per ogni edizione, ci sono divere Identità. Si sono susseguite così le Identità di Formaggio, Identità di Gelato, Identità Naturali, Identità di Pasta, Identità di Sala, Identità di Pane e Pizza e anche Identità Cocktail e ovviamente Identità di Champagne, un altro passo in avanti verso le… Identità di Vino.
Il fattore umano enoico anche quest’anno è stato rappresentato dalla IV Edizione di WineHunter Milano, uno spazio (logisticamente poteva essere in una posizione più centrale e visibile), dedicato a promuovere i prodotti di eccellenza riconosciuti col The WineHunter Award, il marchio di qualità che la commissione di degustazione del Merano WineFestival presieduta dal suo fondatore, Helmuth Köcher, assegna ogni anno durante la manifestazione sudtirolese alle eccellenze enogastronomiche. Un’edizione dove si è messa in luce la Puglia e una nuova frontiera della Valpolicella.
Si inizia con chi ha rivoluzionato, all’inizio degli anni 2000, il mondo del Primitivo di Manduria, contribuendo a dare una nuova direzione ai vini prodotti col principe dei vitigni autoctoni di Puglia, colui che l’ha nobilitato e che, forse inconsapevolmente, ha anche imposto un concetto molto semplice: l’eccellenza paga e si paga, poiché dietro queste produzioni c’è il lavoro di una vita, c’è la cura maniacale delle vigne, 20 ettari tutte rigorosamente ad alberello portatore di una storia antica da difendere e preservare e da cui Gianfranco Fino ricava in totale solo 22.000 bottiglie.
Una qualità estrema senza compromessi sia per l’ES 2015, freudianamente definito istinto, passione sfrenata, senza se e senza ma, al di là dello spazio e del tempo, sia per ES Riserva 2014. Qui si va “Oltre il Primitivo”, edizione limitata, selezione anno per anno dei migliori appezzamenti, in cantina si scelgono le botti migliori delle diverse vinificazioni. Matura 12 mesi in barrique di rovere e 18 mesi in bottiglia. Etichetta “in negativo” rispetto all’altra versione: sfondo rosso in seta con al centro la caratteristica scritta ES in nero.
Rimanendo nell’agro di Manduria ecco Edda Bianco Salento IGP (degustata la versione in magnum del 2014) che Cantine San Marzano ha dedicato a tutte le donne del Sud (Edda in moltissime zone sta ad indicare proprio “Lei”). Un bianco insolito per un Salento terra di grandi rossi, anche per vitigni utilizzati, prevalentemente chardonnay con a saldo uve da antichi vitigni autoctoni che si stanno recuperando come il Minutolo, il Moscatello Selvatico e la Passulara. L’etichetta è in linea con l’eleganza e la freschezza del vino visto che evoca i lavori in pizzo leccese. Ci stupisce infine per la persistenza ma soprattutto per tensione gustativa.
Non ci spostiamo di molto per approfondire quel “fattore umano” che anima il lavoro delle sorelle Simona e Marika Laicata di Masseria Trullo di Pezza che producono vino a Torricella, sempre in terra di Primitivo, in Contrada Trullo di Pezza. Lo fanno con lo stesso amore che ripongono nel crescere la loro famiglia e con lo stesso rispetto che si ha per le cose preziose, come quella della tradizione contadina della loro terra ma con una visione che non può far a meno della modernità.
Il 10Grana 2017 è un Fiano Salento in purezza che cresce su terreni misti di argilla e sabbia. Imbottigliato da pochissimi giorni, è necessario dargli tempo per evolvere, per acquisire quella complessità olfattiva che merita. Al palato ha una bella spinta che lo aiuterà a “sopravvivere” a qualche annetto da trascorrere in bottiglia.
Speziale 2017 è un rosato di Negroamaro dal color corallo. Piccoli frutti rossi ed una piacevolissima macchia mediterranea che si sprigiona al naso. Al palato la vena acida fa il paio con una dolce suadenza ed una spiccata sapidità che invogliano la beva.
Quasi una chicca l’Aglianico Salento Scarfoglio 2015, visto che da queste parti è quasi una sfida trovarne uno in purezza. Già alla vista, rosso rubino carico, fa intuire la sua carica olfattiva che spazia dalle more alle spezie e con delle note balsamiche che lo vivacizzano. Al palato è ricco, concentrato, il tannino è fine ed è sostenuto da una buona freschezza.
Il loro Primitivo in purezza è Licurti 2015. Allevato ad alberello, matura solo 6 mesi in barrique di rovere francese (30% di primo passaggio). Al naso è intrigante, complesso, confettura di frutti neri maturi. In bocca ha una bella struttura ma è molto elegante, il palato è setoso, la fitta trama tannica lo nobilita, ed è molto persistente.
Massimago è una collina della Valpolicella orientale, quella più selvaggia, quella più incontaminata, quella più agricola, quella che i Romani chiamavano, appunto, Maximum Agium, proprio per il benessere che sapeva emanare quel luogo. È su questo singolo appezzamento che dal 1883 sorge Massimago, la tenuta di famiglia di Camilla Rossi Chauvanet. Storia centenaria ma vigneron da solo una generazione, quella di Camilla, che nel 2003 a soli 19 anni pone le basi per la nascita della nuova azienda vitivinicola, una vera e proprio start-up tutta al femminile, con l’obiettivo di produrre vini eleganti ma non ruffiani assecondando le caratteristiche del territorio. Eccone alcuni.
Marchesa Mariabella Valpolicella Superiore Ripasso DOC 2015: Corvina, Corvinone, Rondinella, Croatina che fermentano in acciaio e maturano in barrique per un anno. Caratteristici i suoi sentori di frutta matura e amarene sotto spirito.
Per il Profasio Valpolicella Superiore DOC 2013 (65% Corvina, 30% Corvinone, 5% Rondinella), si utilizzano le stesse parcelle dell’Amarone e le uve, dopo la raccolta manuale, sono sottoposte ad una fase di appassimento di circa 30 giorni: un vero e proprio fratellino dell’Amarone. Un vino molto sofisticato rispetto agli altri Valpolicella superiori, con le sue leggiadre note di pepe bianco ed erbe aromatiche, al palato è fresco e balsamico. Matura 12 mesi in legno (barrique e botte grande) e un anno in bottiglia. Una nuova interpretazione del Valpolicella Superiore che sposta in alto l’asticella dell’eccellenza.
Il Conte Gastone 2011 è l’Amarone prodotto con le uve che crescono sul versante inferiore della Tenuta e prevalentemente su argille. 80 giorni di appassimento, 24 mesi in legno, 12 in bottiglia per un Amarone molto goloso che ci affascina per le sue morbidezze.
Amarone della Valpolicella DOCG 2012 (65% Corvina, 30% Corvinone, 5% Rondinella) è il risultato di diverse microvinificazioni delle migliori parcelle aziendali (vigneti Macie, Giordane e Giare) che hanno caratteristiche differenti e poi assemblate. In questa annata ritroviamo ben 8 diversi Amaroni, in una sorta di sublimazione e massima espressione del territorio. Un vino molto verticale, fresco, che va respirato per la complessità e la finezza dei profumi che trasmette. L’equilibrio è perfetto tra eleganza, finezza e l’irruenza dei giovani virgulti.
Infine un omaggio al Maestro Gillo Dorfles scomparso il giorno antecedente l’apertura dei lavori, il 2 marzo, alla veneranda età di 107 anni. Pittore, filosofo, professore di estetica e critico d’arte, tra le sue passioni c’era il Cilento, dove ogni anno trascorreva le vacanze tra mare, templi e le vigne di Giuseppe Pagano, patron dell’azienda agricola San Salvatore 1988, nella piana di Paestum. Nel 2008 dedicò (e omaggiò) a questa terra e al vino di San Salvatore ben 12 suoi magnifici disegni. La cantina ha ricambiato il regalo utilizzando queste immagini come etichette delle 12 annate del loro Aglianico Riserva Omaggio a Gillo Dorfles. In degustazione la 2014, sesta annata di questa serie, un connubio tra arte, vino e terroir di mare che ha esaltato la bellezza in tutte le sue forme.
Un ultimo ricordo da parte di tutti è riservato a Bob Noto, fotografo e grafico, a cui si deve anche il simbolo di Identità Golose, il cucchiaino con l’impronta digitale.
Ci si auspica che dalla prossima edizione sia data la possibilità ai visitatori interessati solo al mondo dei vini di farlo senza doversi accreditarsi all’intero congresso, con risparmio di tempo e soprattutto economico.
[Photo Credit: Antonio Cimmino; Identità Golose; Brambilla-Serrani; Bobnoto.it]