Poche cose come le angulas risultano esotiche e “straniere” agli occhi e alle bocche di chi viaggia in Spagna. In realtà, a ben guardare, questa specialità da sempre popolare sulle tavole iberiche non sarebbe sconosciuta in Italia, bensì dimenticata, o forse perduta per tante e tante ragioni.
Le angulas altro non sono che gli avanotti delle anguille, quelle che in Toscana e in particolare nel versiliese sono conosciute come cèe, anguilline tanto piccole da essere ancora cieche (questo il nome in italiano). Un tempo numerosissime risalivano l’Arno, ma anche molte altre valli d’acqua italiane (nel ferrarese, ad esempio, ma anche in Puglia) e venivano pescate con particolari sistemi di cattura. Oggi che la specie è a rischio, la pesca è vietata in Italia e fortemente regolamentata in altri paesi, in particolare in Spagna, Portogallo e Francia.
Le anguille, tocca ricordarlo, sono testarde e misteriose: non solo non si riproducono in cattività ma lo fanno solamente nel Mar dei Sargassi (al largo della Florida) lì dove tutte sono nate. Una volta schiuse le uova le anguilline minuscole si rimettono in viaggio per tornare nello stesso identico luogo dal quale la loro mamma è partita. Ci impiegano parecchio, tre anni o giù di lì, ed arrivano ancora cieche.
A rivedere tutta la storia passa un poco la voglia di assaggiarle, vista tanta fatica e tanta determinazione, ma se vi capitasse provatele perché il gusto è del tutto particolare.
In Spagna si trovano in genere conservate sottovuoto o in barattolo ed hanno un colore bianco latteo, mentre da vive sono trasparenti come tutto il novellame. Particolarmente apprezzate nella cucina basca, ma anche in quella asturiana e gallega, sono alla base di diversi piatti tradizionali.
Visti i limiti giustamente imposti alla pesca e l’alto prezzo delle anguille, si è molto diffuso un succedaneo delle angulas con il nome di gulas: si tratta di surimi ottenuto da simil-merluzzi (in particolare il Pollachius Pollachius) che imita per colore, forma e consistenza le angulas originali.