Barikama

Ci sono storie che arrivano da lontano, da luoghi che spesso non è facile immaginare, da difficoltà che molte volte è più facile ignorare. Queste storie hanno volti, mani, idee, entusiasmo, e succede – e questa è una delle volte in cui è successo – che diano vita a progetti fatti di lavoro duro e un po’ di utopia, quel poco che basta per renderli realtà.

Incontro Ismael nel pomeriggio di un giorno piovoso: mi raggiunge (nonostante le mie rocambolesche indicazioni stradali) con la sua bicicletta, sul cui portapacchi è ben legata una cassetta dentro la quale viaggiano i vasetti di yogurt destinati alla consegna.

Ismael viene dal Benin, dove ha studiato economia, ha poi lavorato in una società francese, da cui ha infine deciso di partire per avere opportunità migliori. Opportunità in cui credono tutti coloro che abbandonano la loro terra e la loro famiglia quando affrontano il viaggio per arrivare in Italia, e nessuno di loro probabilmente immagina che queste opportunità coincidano con l’essere sfruttato nei lavori agricoli, con una paga di 3 euro ogni 350 kg di frutta raccolta.

Non è un viso nuovo per me che da giorni mi aggiro sul sito di Barikamà guardando video e leggendo articoli che parlano di loro – tanti – e un po’ mi sembra di conoscerlo. Come mi sembra un po’ di sapere già tutto delle persone dalle quali è nato questo progetto, questi ragazzi che nel 2011, dopo essere andati via da Rosarno in seguito alle rivolte contro lo sfruttamento del lavoro degli immigrati, sono arrivati a Roma e – non senza aver prima superato altre difficoltà, come quelle per l’ottenimento dei documenti – hanno dato vita ad un progetto di microreddito, cominciando a produrre yogurt biologico e a distribuirlo per Roma muovendosi a pedali.

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Nonostante tutto però di curiosità ne ho tante, le prime riguardano il perché-per come-da dove l’idea dello yogurt.

In Africa i pastori della stirpe Peulh ricavano il latte dalle loro vacche e lo lasciano fermentare nelle callebasse, contenitori ottenuti da un frutto tagliato a metà e svuotato (il frutto della pianta omonima, ndr). Lo lasciano fermentare per tre giorni, alle temperature desertiche, che si aggirano sui 39°.
Quando i due fondatori di Barikamà (tra cui Suleman, che oggi ne è il presidente) hanno avuto l’idea di produrre lo yogurt, hanno preso ad esempio i pastori Peuhl, e hanno lasciato lo yogurt fermentare a temperatura ambiente.
Ovviamente l’esperimento fallì, perché le temperature romane sono più fredde di quelle sahariane.
Ma loro non si sono arresi: hanno studiato, si sono informati, hanno comprato i fermenti da aggiungere al latte e le pentole. Qui riscaldavano il latte fino a 90°C per poi lasciarlo raffreddare fino a 40°C prima di aggiungere i fermenti, mantenendolo a questa temperatura per sei ore. Per ottenere la temperatura costante mettevano i vasetti in grandi bidoni riempiti con acqua calda che coprivano con delle coperte, monitorando la temperatura di ora in ora, in modo da aggiungere altra acqua calda all’occorrenza. Hanno prodotto così lo yogurt per due anni, 15 litri alla settimana.“

Mentre Ismael parla, io comincio a farmi un’idea del perché questo progetto si chiami Barikamà, che nella lingua malese bambarà significa “resistente“.

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Poi nel 2013 hanno incontrato i fratelli Andrea e Aurelio, proprietari del Casale di Martignano” – continua Ismael – “che producevano già formaggi e quindi erano dotati di macchinari utili anche per la produzione dello yogurt.
Ora la fermentazione del latte nei vasetti avviene ponendoli in grandi vasche tenute a temperatura costante grazie ad un sistema di regolazione automatico (le stesse vasche nelle quali si tengono in salamoia le mozzarelle, ndr). Ad intervalli di un’ora viene misurato il ph: lo yogurt è pronto quando il ph è pari a 4.40.
Il latte è biologico, e proviene dal casale Nibbi, e la produzione avviene oggi due giorni alla settimana, per un totale di 200-250 litri”.

Ismael ci pensa un secondo e un lampo di orgoglio, seppure discreto, gli balena nello sguardo calmo: “Questa settimana abbiamo prodotto 150 litri il primo giorno di produzione e 150 il secondo, siamo arrivati a 300 litri. La richiesta è tanta“.

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Gli chiedo com’è che dalla produzione di yogurt siano poi passati anche alla coltivazione e alla vendita degli ortaggi:

Al casale di Martignano c’era tanta terra, incolta. Da lì l’idea di coltivarla, e ora sono in due (un italiano e un africano) ad occuparsene“.
E ad occuparsene bene, perché a guardare l’elenco delle verdure di stagione disponibili con l’occhio di chi mangerebbe pane e biodiversità si ha un certo moto di soddisfazione (provate voi a trovare tutti insieme i tre colori dei cavolfiori, bianco-verde-viola, per fare un esempio!).

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Mi racconta di come tanti ragazzi siano passati in questi anni dalla cooperativa e di come lavorarvi abbia dato loro la possibilità di imparare l’italiano, di conoscere Roma, di entrare in contatto con le persone, di farsi conoscere. Di integrarsi.
Di come alcuni di loro abbiano trovato un lavoro proprio grazie a questo insieme di opportunità, e della soddisfazione che si prova ad essere padroni di se stessi, ma anche a dare ad altri la possibilità di sfuggire all’isolamento e allo sfruttamento.
Non voglio rubare troppo tempo a Ismael, che ha ancora consegne da fare dall’altra parte di Roma e gli chiedo di raccontarmi del bando della regione Lazio che hanno vinto e il cui finanziamento hanno rischiato (e forse ancora rischiano) di perdere.

Abbiamo vinto questo bando da 20.000 euro, ma dobbiamo spenderli tutti entro dicembre per poterli ottenere davvero (ma quanto sono assurde queste regole? ndr). Grazie ai nostri sostenitori, e a chi ha effettuato ordini in anticipo, siamo riusciti a raccogliere la somma necessaria con la quale vorremmo comprare quattro bici con carrelli, un motorino elettrico e due frigoriferi. Vorremmo inoltre affittare un magazzino per conservare lo yogurt prodotto, cosa che al momento facciamo appoggiandoci alla SNIA (il centro sociale che si trova sulla Prenestina, da dove è partita la produzione iniziale). Oramai siamo diventati grandi però, e non vogliamo più appoggiarci a loro. Il problema è che nonostante abbiamo i soldi, ci sono molte difficoltà nello spenderli in così poco tempo, e per questo ho chiesto all’Ass.For.SEO, che gestisce il bando, che ci sia concesso più tempo, ma al momento non ho ancora avuto una risposta.

Faccio infine una domanda da cliente, e chiedo se prevedono in futuro di ampliare la produzione (quante volte gli avranno fatto la domanda: “ma fate solo yogurt bianco?”).

Per ora non ci pensiamo” – mi dice – “Ora che siamo completamente in regola con tutte le normative dobbiamo farci conoscere, far conoscere il nostro prodotto e la sua qualità. Questo è importante per noi, adesso.

E se è il primo yogurt naturale nella mia vita nel quale non sento il minimo bisogno di aggiungere zucchero, il mio personalissimo giudizio è che questo yogurt sia buono davvero e meriti di essere conosciuto e diffuso.

Su due ruote, of course!

Per info e per ordinare yogurt e ortaggi a Roma:

Il sito Barikamà

la pagina fb https://www.facebook.com/progettobarikama/timeline

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Elvira Costantini

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