La bellussera è un antico metodo di allevamento della vite, un patrimonio storico da custodire su cui si fonda la memoria dell’identità e la tipicità di un territorio caratterizzato dalle campagne trevigiane lungo le terre del Piave, il fiume tanto caro agli italiani. Una struttura d’altri tempi, una sorta di ricamo nell’aria basato su un sistema a raggi ideato alla fine dell’800 dai fratelli Antonio e Girolamo Bellussi, agricoltori di Tezze di Piave (Tv), per combattere la peronospora, un fungo microscopico arrivato in Italia tramite l’importazione di materiale infetto dal Nord America, che arreca danni soprattutto alle foglie, sulle cui pagine inferiori compare una sorta di muffa biancastra o grigiastra. Ancor oggi a tale malattia non c’è rimedio se non con la prevenzione.
La bellussera prevede un sesto di impianto ampio dove pali in legno di circa 4 metri di altezza sono tra loro collegati da fili di ferro disposti a raggi. Ogni palo sostiene 4 viti, ad un’altezza di circa m. 2.50 da terra, da ciascuna delle quali si formano dei cordoni permanenti che vengono fatti sviluppare inclinati verso l’alto e in diagonale rispetto all’interfilare, formando una raggiera.
Con questa forma di allevamento della vite tutte le attività, vendemmia compresa, possono essere condotte esclusivamente a mano, così col tempo a causa dell’elevato costo d’impianto e l’impossibilità di meccanizzarne le attività fu sostituita da altre più economiche e produttivie.
A Rai di San Polo di Piave (Tv) c’è chi si sta impegnando molto seriamente nel salvare le bellussere. Come i tre fratelli Cecchetto, Simone, Alessio e Fabio, nipoti di quel Marino Cecchetto, fondatore dell’azienda agricola Ca’ di Rajo (Rajo è il nome antico di Rai), che portano avanti la stessa battaglia del nonno in difesa di un metodo di allevamento tipico di quest’area e di quelle viti che oggi hanno oltre 70 anni, e rappresentano una tradizione dalle radici antiche, la vera ricchezza storica e umana dell’azienda, da cui partire per raggiungere traguardi importanti.
Oggi nei 15 ettari a bellussera si coltivano i tipici vitigni della zona come Raboso del Piave, Glera, Chardonnay, Pinot Bianco, Sauvignon, Verduzzo, Merlot oltre al Manzoni Rosa 1.50, nato, grazie alle sperimentazioni del prof. Manzoni, dall’impollinazione tra Traminer e Trebbiano, un rarissimo autoctono, solo tre le cantine a produrlo, solo Ca’ di Rajo lo spumantizza.
Il suo Manzoni Rosa Extra Dry Millesimato 2016 è un vino delicato e raffinato, con fragranti note di frutti di bosco, agrumi, fiori appassiti e albicocca matura, il perlage è finissimo e persistente, al palato si presenta con una buona struttura dove freschezza, sapidità e zuccheri residui sono in completa armonia.
Notti di Luna Piena 2012 è un Raboso del Piave Riserva. Vitigno autoctono di origine preromana, tanto che già Plinio il Vecchio nel suo Naturalis Historia narra di un vino “più nero della pece” prodotto nel nord-est della nostra penisola.
Un vino, appunto, “rabbioso” (da qui il suo nome), irrequieto, scalpitante, dalla grande tannicità e caratterizzato da una notevole nota acidula. Un vino profondo come la notte che, per essere addomesticato, nobilitato, ha bisogno di una surmaturazione in pianta (circa il 70% delle uve) mentre il restante 30% viene appassito in fruttaio per 40 giorni. La maturazione avviene in botti grandi da 12 hl per 36 mesi per le uve surmaturate in pianta, mentre 24 mesi in barriques per le uve appassite in fruttaio. Prima della commercializzazione trascorre almeno altri 6 mesi in bottiglia. Ricorda il profumo delle marasche, delle amarene e delle prugne, intense note di cannella e vaniglia e nuance di pepe e tabacco completano un bouquet olfattivo di rara complessità. Al palato una voluttuosa eleganza, accompagnata da una struttura potente ma mai sgraziata. Sapidità e freschezza supportano una beva che non stanca.
Per un’azienda della Marca Trevigiana, che produce e vende circa un milione e mezzo di bottiglie, il Prosecco ovviamente riveste un ruolo fondamentale. Tra le diverse etichette segnaliamo il Prosecco Extra Dry DOC Treviso 2016, che non ha l’obiettivo di competere i suoi fratelli “superiori” di Valdobbiadene DOCG prodotti dalla stessa azienda, ma fuor di dubbio si può affermare che è un prosecco dall’ottimo rapporto qualità prezzo. Una bollicina molto fine e persistente lo contraddistingue, decisamente ancora presente nel bicchiere dopo più di 5 minuti, il tempo per un… selfie!
Al naso un campo di fiori, qualche agrume ed un tocco di pietra focaia. Al palato è avvolgente, con la nota sapida che cerca di equilibrare un residuo zuccherino leggermente invadente. Bollicine che fanno festa!
Tutto questo è solo un punto di partenza, poiché i tre fratelli Cecchetto non riescono proprio a stare fermi. A tal proposito la vendemmia 2017 è la data di nascita di un nuovo progetto, un vino in edizione limitata che ha in sé oltre un secolo di storia. Un Tai ottenuto da uve di un vigneto Tocai, coltivato a bellussera, che risale ai primi anni del Novecento. Un vigneto di proprietà della famiglia Paladin di Rai di San Polo di Piave, piantato, con tutta probabilità, nel corso della prima guerra mondiale.
Il nuovo vino sarà un bianco che vuole omaggiare le specialità del Trevigiano e della Doc Piave: “Le uve sono attualmente in appassimento in fruttaio e vi rimarranno per circa un mese – afferma Simone Cecchetto – Sarà l’unico Tai di bellussere che hanno cento anni, un vino unico con bottiglie numerate, da collezione”
[Photo Credit: Antonio Cimmino; Ca' di Rajo]
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