Forse qualche anno fa sarebbe stato difficile, per molti, dire in quale regione d’Italia si trovasse Cetara. Poi il piccolo borgo marinaro accoccolato sulla ammaliante Costiera Amalfitana ha saputo fare di se stesso un riferimento per la produzione di una delizia tutta locale: la colatura di alici. Ma non solo per quella.
Non è una giornata delle più luminose, quella in cui Cetara mi accoglie. Altre volte mi si è presentata al suo meglio, splendente di luce, e devo ammettere che il suo fascino è diverso ma non minore nel suo umore invernale.
Non è una giornata di sole, ma i pescatori si occupano delle reti come sempre. I banchi della pescheria sono un po’ sforniti, perché il mare è piuttosto nervoso. Cetara è questo: 2300 abitanti, uno più, uno meno, all’ombra della Torre Vicereale. Vocati alla pesca fin dai tempi della Repubblica di Amalfi. E sin da allora Cetara è stata terra di tonnare.
Il pregiato tonno rosso è stato la ricchezza di questa terra. Per anni ha invaso i menù dei ristoranti più blasonati; poi lo si è scoperto a rischio estinzione e si è deciso di tutelarlo con una normativa specifica, ponendo dei limiti alla pesca.
E Cetara? Non si è arresa. Ché qui si è pescatori da secoli, il mare ha tanto da offrire, l’ingegno dell’uomo pure; Cetara è diventata un esempio di quel circolo virtuoso che si può innescare quando la volontà non solo di sopravvivere, ma di fare e fare insieme, di valorizzare quello che si possiede, di rompere l’isolamento e proiettarsi all’esterno riesce ad averla vinta sulla rassegnazione. Certo, ci vogliono dei motori: motori umani; persone che sappiano cosa va fatto e come farlo, e come coinvolgere altri nel proprio progetto. E qui ce ne sono diversi.
Uno si chiama Pasquale Torrente. Oggi per molti la colatura di alici è lui. Perché è dalle alici che è partita la rinascita di Cetara, per poi andare oltre le alici; ma quella che Pasquale ha messo in moto, insieme ai pescatori locali, alla piccola flotta peschereccia di Salvatore Pappalardo e dei suoi figli, alla IASA di Salerno e al laboratorio Nettuno che lavorano il pesce, è una sinergia tra tutti i soggetti coinvolti che porta a tutti benefici e danno a nessuno. Dalla pesca alla lavorazione e al confezionamento, alla ristorazione, alla distribuzione, Cetara è un paese-piccola impresa che oggi quasi viene identificato col suo prodotto più noto.
La pesca delle alici si svolge tra aprile e agosto. Il pescato viene messo sotto sale grosso per 24 ore perché perda i liquidi, quindi posto sotto sale fino in terzigni di legno, dove resta a macerare per un periodo che va da un anno e mezzo a due anni. Me li mostra Giulio del laboratorio Nettuno, in mezzo a un intenso odore di pesce e a mani che mondano 15 chili di alici ogni giorno.
A quel punto si effettua la spillatura, forando il fondo dei terzigni e facendone sgocciolare la colatura stilla a stilla. La produzione della colatura di alici è tutta qui: nessuna filtrazione e men che meno bollitura. A filtrare il pregiato liquido ci pensano gli strati di pesce sovrapposti nel terzigno.
Occorrono 25 kg di alici per ottenere un litro e mezzo di colatura che finirà non solo nei negozi, ma anche nella ristorazione tradizionale e in quella alta, a profumare un semplice spaghetto o un piatto creativo, alimento popolare e nobile al tempo stesso.
Ma la colatura non è tutto: ci sono le alici sotto sale, i pesci un po’ negletti recuperati, come lo sgombro, la palamita o il tonno alletterato, a garantire che qui si lavori e si guadagni per tutto l’anno, tutti: dai pescatori in su, a costituire un modello di quella filiera della quale tanto si parla, spesso a sproposito.
E poi c’è l’ultima nata: la bottarga di tonno rosso. Ma una bottarga delicata e umida come non mai, perché preferibilmente la si consuma fresca. Lavorata con una tecnica artigianale usata da Tonino Fiorillo della Lanterna Blu, un famoso ristorante di Imperia un tempo stella Michelin, viene ottenuta salando le sacche ovariche del tonno solo all’esterno, pressandole e lasciandole essiccare per 5-6 mesi. Anche qui, vive visibile la filiera, che si conclude sui banchi vendita di Eataly, dove la bottarga messa sottovuoto perviene insieme alla colatura e alle alici della “Dispensa del Convento”.
“Al convento”, qualora ci fosse chi ancora lo ignora, è il ristorante di Pasquale a Cetara, che vi accoglie immancabilmente con pane, burro e alici e prosegue con piatti in cui tutti i prodotti della pesca locale celebrano il proprio trionfo; Pasquale stesso è un uomo-impresa, con la passione per il suo territorio che si fa cucina, cucina di materia, come ama dire: a Cetara ha affiancato al Convento Pane e Coccos’, per pasti veloci, senza impegno, economici ma di qualità, e la Cuopperia, che lo ha consacrato re dei fritti, tanto che sua è la gestione delle friggitorie di Eataly in mezzo mondo. Perché il cuoppo, sempre per chi lo ignorasse, è il cono di carta in cui vengono serviti tradizionalmente i fritti di strada. Anzi, ‘o magnà ‘e mmiez’a via, per dirla come Pasquale, evitando di cadere nel modaiolo street food, la locuzione anglofona con cui si è voluto etichettare ciò che è sempre esistito, riscoprendo l’acqua calda.
A Cetara, oggi, il mare è nervoso. Le persone, forse, meno. Perché il borgo di pescatori che fu continua ad essere un borgo di pescatori, ma molti oggi saprebbero trovarlo sulla carta geografica. E’ finito sulla bocca di tutti, la sua filiera che sforna prelibatezze marine funziona, parte dalla barca e si snoda fino alle tavole gourmet, alle piccole gastronomie d’élite, alla grande distribuzione internazionale.
Turismo e gastronomia, o turismo gastronomico: non è questo ciò su cui dovrebbe e potrebbe fondarsi la ricchezza dell’Italia? Non ci mancano di certo i piccoli centri con una loro specificità, un prodotto che li caratterizza e che magari è conosciuto solo dai locali. Certo, ci vogliono visionari, sognatori, ma che siano anche pratici e fattivi per farli uscire dall’isolamento e avviare a un circolo virtuoso. Ma è possibile, e si può arrivare lontano.
I cetaresi, tra cui questo signore che non ama prendersi troppo sul serio, ne sanno qualcosa.