Il bello di viaggiare è entrare in contatto con tradizioni e riti che non ci appartengono: è un modo per crescere ed arricchirsi. Certo, può esserci qualche inconveniente: potreste non sapere come comportarvi esattamente in una determinata situazione non proprio familiare, come nel caso del cha no yu.
Siamo in Giappone e cha no yu vuol dire letteralmente “acqua calda per il tè”. Un vero rito, con i suoi codici e le sue regole, da conoscere e rispettare se non si vuole apparire fuori luogo e – soprattutto – se si vuole godere l’esperienza al 100%.
In un paese così moderno e filo-occidentale potrebbe sembrare anacronistico un rito per il tè: tuttavia ha un altissimo valore gastronomico e sociale, risalente al primo periodo Tokugawa, nella prima metà del XVI secolo.
Innanzi tutto il luogo: la chashitsu, un’ala della casa dedicata a questo rito e anch’essa ben codificata! Ci sarà un giardino – più o meno vasto, a seconda di dove vi troverete, se a Tokyo o in campagna – un portico che funge da anticamera, una piccola saletta dove verrà preparato il tè e la sala dove si consumerà il rito. Il tutto improntato al sabi, la raffinata sobrietà che contraddistingue tanti luoghi giapponesi.
Dopo un’attesa nel portico,in cui si contemplerà la bellezza del giardino, il padrone di casa entrerà nella sala chashitsu, lasciandosi alle spalle il giardino, come gesto di liberazione dal tran tran della vita moderna. La cerimonia, in fondo, è un momento di meditazione, più che di socializzazione, volta ad avvicinarsi a quella essenzialità a cui la filosofia zen aspira.
Tornando agli aspetti pratici, il padrone di casa siederà di fianco al tokonoma, una piccola nicchia dove si trova una composizione floreale e dove sono anche appese le pergamene con scritte realizzate da esperti calligrafi; alla sua destra prenderà posto l’ospite principale.
Prima del consumo del tè verrà servito un kaiseki, una sorta di piccolo spuntino incentrato sulla bellezza della disposizione delle vivande, del loro intaglio e delle porcellane in cui sono servite. Il kaiseki si è poi evoluto nel corso dei secoli ed oggi è sinonimo di alta cucina e alta raffinatezza, al punto da avere dei ristoranti specializzati in questo tipo di piatto.
Il koicha è il servizio del tè denso; si tratta di tè verde in polvere che viene diluito in acqua calda e schiumato a mano con un chasen, una sorta di frullino di bambù. Questo tè verrà servito in un’unica ciotola: inizierà il padrone di casa, ammirando la bellezza della tazza, volgendo poi il suo lato più bello verso l’esterno e bevendone due o tre sorsi, prima di asciugarne il bordo col tovagliolo e passarla poi all’ospite d’onore, che farà gli stessi gesti, in silenzio. Ci si potrà complimentare col padrone di casa per la bontà del tè e per la bellezza della tazza.
Seguirà l’usucha, il tè leggero, servito stavolta in tazze singole per ciascun ospite, da tenere rigorosamente con due mani, volgendo sempre la parte più bella della tazza verso l’esterno. Una volta terminato il tè, le tazze verranno restituite al padrone di casa che le sciacquerà e servirà un secondo giro ai suoi ospiti.
Il motivo per cui si mostra il lato più bello della tazza è legato al fatto che queste sono irregolari: l’importanza della Cha No Yu è tale da aver portato una vera e propria fioritura dell’arte della ceramica, soprattutto nella zona dell’Honshu centrale, intorno a Nara e Kyoto, dove sorsero numerose scuole di ceramica, ognuna caratterizzata da un proprio gusto e filosofia. Pur non presentando motivi decorativi precisi sono caratterizzate da invetriature particolari, talvolta lasciando il fondo esterno grezzo. I bordi non uniformi e leggermente ondulati conferiranno un piacevole tocco personalizzato al tatto.
Una curiosità: anche ordinando un semplice tè in un bar, molto probabilmente, assieme al tè, vi verranno fornite le istruzioni sulla mescita: il vero minimo sindacale da rispettare per un gaijin, uno straniero.