A guardarlo sulla cartina, pare un’esile ballerina che accenna un passo di danza verso ovest. È per me il lago più bello del mondo per il suo microclima e per le sue rive punteggiate da bellissime ville e piccoli borghi con le caratteristiche discese a lago. Le sue sponde hanno talvolta pendii arrotondati ed erbosi ma anche rocce dentate, guglie e torri che si tuffano direttamente in quelle acque profonde, offrendo panorami di selvaggia bellezza.
Come tutti i laghi che si rispettino, ha la sua piccola isola. La Comacina era un tempo una rocca indipendente alleata di Milano nella guerra contro Como, e fu solo grazie al Barbarossa che i comaschi riuscirono a distruggerla nel 1169. Da allora è disabitata, resta solo la chiesetta seicentesca di San Giovanni e una locanda ristorante, diventata famosa per i soggiorni di Alfred Hitchcock.
Il susseguirsi delle stagioni regala al lago diverse sfumature ed è emozionante vederlo rivestirsi dei colori della primavera, con la fioritura delle azalee e dei rododendri che popolano i giardini delle ville, mentre d’estate le sue acque restituiscono l’azzurro intenso del cielo e l’autunno colora di mille tonalità di giallo e arancio i suoi boschi. D’inverno è forse ancora più affascinante, un po’ solitario e ammantato di bruma oppure, nelle giornate limpide, con quella luce così vivida e tersa.
Tanto è stato scritto, ma il suo fascino resta immutato ed ha sempre in serbo qualcosa di nuovo da scoprire, un angolo nascosto, una luce particolare. Ha parecchio da raccontare il lago, basta saperlo ascoltare e ascoltare la gente che ci vive, con le sue storie fatte di sacrificio e di fatica, di barche e di pesca, ma anche di montagna e di pascolo.
In alcune zone felicemente protette dal clima del lago, si coltivano gli ulivi che danno un olio verde brillante con riflessi giallo oro, profumato e dalla acidità molto bassa, denominato “Laghi Lombardi” per designarne l’origine e che ha una sua DOP. È molto ricercato per la sua delicatezza ma, a causa della limitata produzione, non è sempre facile poterlo acquistare.
Lungo il lago e nella cucina comasca vive una tradizione che si è formata nei secoli, fatta essenzialmente di pastorizia alpina e di pesca. Il pesce di lago ne è l’ingrediente principe e fornisce la base per diversi piatti tipici come il risotto col pesce persico, il lavarello in carpione, la frittura di alborelle e i famosi missultitt, i missoltini, che si accompagnano con l’immancabile polenta fatta con farina di mais mista a grano saraceno. La polenta è la regina delle tavole comasche, quasi sempre presente, taragna o uncia, che riempie le pance e che accompagna tutto: il pesce, le carni, gli insaccati, la cacciagione e i formaggi.
I missoltini meritano un discorso a parte. Ufficialmente in italiano si chiamano agoni. Hanno dimensioni medio-piccole, sono ricchissimi di grassi naturali e di omega 3 e vengono considerati il miglior pesce di lago per la conservazione, una volta salato ed essiccato. Amano le acque più profonde e fresche e per questo si pescano in alto lago, a distanza dalle rive, in primavera.
Una volta squamati ed eviscerati, vengono messi sotto sale per due o tre giorni, poi lavati accuratamente e appesi ad asciugare al sole per altri dieci giorni circa, ben allineati su dei piccoli telai, fino a quando le carni prenderanno una colorazione rossastra, segno che il grasso è al giusto stadio e il pesce può affrontare il periodo di conservazione. Poi vengono adagiati a strati nelle missolte, piccoli barili un tempo di legno (da qui il nome missoltini), intervallati con foglie di alloro e sottoposti a una lenta pressatura attraverso un torchio. Il grasso del pesce affiora in alto e il leggero strato oleoso in cima fa da isolante dall’aria esterna, consentendo così una corretta conservazione. Sono anche diventati Presidio Slow Food. Si gustano grigliati con le foglie di alloro, un filo d’olio e una leggera spruzzata di aceto, accompagnati dalla immancabile polenta.
Antica è la tradizione che li ha portati fino a noi, ma sempre più raramente capita di vederli stesi ad asciugare al sole percorrendo le strette strade del lago. Oggi a pescare gli agoni sono rimasti in pochi, fare il pescatore non è più remunerativo e ancora meno è rimasto chi sa tramandare l’arte dei missoltini essiccati naturalmente come prevede la tradizione. È un lavoro lungo e laborioso, i pesci vanno puliti e squamati, bisogna fare attenzione alle dosi di sale che si somministrano, appenderli uno ad uno ai telai essiccatoi, controllare l’evoluzione del grasso durante tutto il periodo per capire quando sono pronti per la lenta conservazione nelle missolte.
Fra i pochi che portano avanti questa tradizione, a Lezzeno c’è la famiglia Molinari. Da oltre quattro generazioni gestiscono il Crotto del Misto, uno dei più vecchi del lago: sulla pietra che sormonta l’ingresso della cantina è incisa la data 1700. Ma cos’è un crotto? È un anfratto naturale che si è creato entro i resti di antiche frane staccatesi in un lontanissimo passato, una cantina naturale, climatizzata da una sorgente di aria fresca che esce dal sottosuolo e mantiene temperatura e umidità sempre costanti in ogni stagione, indipendentemente dalla temperatura esterna. Sui crotti di Chiavenna ne abbiamo parlato qui.
Il Crotto del Misto (dal nome Temistocle) è conosciuto fin dai tempi in cui sulle acque del lago scivolavano i comballi, antichi barconi da trasporto a vela. Fin da allora i barcaioli facevano una sosta da nonno Bondino, il capostipite, e vi trovavano pesce fresco, salumi nostrani, vino eccellente invecchiato per l’appunto nel loro personalissimo crotto.
Fare un giro in cantina è estremamente interessante: incontri prosciutti che si stagionano a dovere e formaggi messi ad affinare, innumerevoli bottiglie impolverate che testimoniano lo scorrere del tempo, il tutto accompagnato dal sommesso e piacevole mormorare del piccolo ruscello che la attraversa mentre scende dalla montagna per perdersi nel lago. Prosciutti, formaggi e vino che si possono assaggiare all’ora di pranzo, insieme ai missoltini che la famiglia Molinari prepara e conserva in onore alla tradizione di famiglia.
Nonno Bondino e il Crotto del Misto sono stati raccontati spesso da Gianni Brera, il famoso giornalista sportivo, suo grande amico, scomparso anni fa. Spesso, di ritorno da un viaggio, si fermava a pranzo o a cena, e allora il tempo scorreva fra racconti di lago e di sport, bevute e risate. Anche Brera era un grande estimatore dei missoltini, ma soprattutto gli piaceva stare ad ascoltare i racconti e gli aneddoti di nonno Bondino. Ancora oggi, sulle pareti del ristorante ci sono le foto che testimoniano quei momenti spensierati e lontani.
Generazioni di cuochi e osti, i Molinari, ma prima di tutto uomini di lago, custodi della memoria di quei luoghi.
Giuliana sei sempre straordinaria!!