L’uomo, fin dall’antichità, ha sempre avuto la necessità di preservare il più a lungo possibile il cibo, per fare scorte per l’inverno o per poter affrontare senza problemi eventuali carestie. Già i romani conservavano gli alimenti in grotte che erano state riempite di ghiaccio e neve in inverno, una sorta di ghiacciaia/frigorifero rudimentale. Nel 1800 il cuoco francese Nicolas Appert si accorse che i cibi inseriti in barattoli di vetro a collo lungo, cotti e successivamente sigillati con del sughero fissato con fili di ferro, duravano più a lungo. Inventò così la conservazione in barattolo, un metodo ancora oggi largamente utilizzato sia dall’industria sia a casa.
Che cosa fa andare a male i cibi o li rende non più commestibili? Perché ingerire un alimento ad certo punto della sua vita può essere causa di un’intossicazione o addirittura della morte? Le cause del deterioramento possono essere di due tipi: cause biologiche e cause chimico-fisiche. I microorganismi, i parassiti (come batteri, insetti e roditori) e gli enzimi contenuti naturalmente negli alimenti sono tutti possibili cause di deterioramento biologico del cibo. Il deterioramento chimico-fisico invece può dipendere da fattori come l’ossigeno, la luce, la temperatura, l’umidità, la disidratazione e la sollecitazione meccanica.
Per non incorrere in rischi per la salute è quindi necessario eliminare le potenziali cause di alterazione degli alimenti che consumiamo, e così facendo ne prolunghiamo la durata.
Il mezzo più semplice che conosciamo per sottrarre acqua ad un alimento, e quindi non far sviluppare muffe o moltiplicare batteri, è l’essiccazione. Questa è ottenuta mediante esposizione al sole o l’utilizzo di un forno ventilato. Un altro modo per rendere indisponibile l’acqua è farla ghiacciare: surgelati e congelati prolungano la loro commestibilità essendo privi di materiale allo stato liquido.
Per evitare lo sviluppo di microrganismi è sufficiente che sull’alimento da conservare non ci siano tracce di contaminazione; tale risultato si ottiene per mezzo della sterilizzazione o della pastorizzazione. La prima si ha quando riscaldiamo l’alimento a temperature elevate (superiori ai 100° C in autoclave per 20 minuti) mentre la seconda si ha riscaldandolo a temperature inferiori ai 100° per un tempo variabile.
È possibile anche rendere l’ambiente ostile a muffe e batteri togliendo l’ossigeno, arricchendolo di sale o zucchero oppure rendendolo molto acido. Le conserve sott’olio, sottaceto, sotto sale, le marmellate e le conserve sciroppate sono tutti esempi di ambienti ostili ai microrganismi.
Quando prepariamo una conserva solitamente usiamo contemporaneamente più mezzi per contrastarne sviluppi indesiderati. Il motivo è che l’efficacia di uno solo non è totale e quindi più difese inseriamo più è difficile incorrere in deterioramenti non voluti.
L’industria utilizza gli stessi metodi di conservazione che possiamo avere a disposizione a casa, con tecniche ovviamente più raffinate. La tecnologia a disposizione dell’industria ha tuttavia permesso di scoprire ulteriori mezzi per allungare la durata commerciale dei prodotti (shelf life).
Un metodo unicamente industriale è la conservazione con radiazioni ionizzanti. Irraggiando l’alimento con raggi gamma o raggi X, si eliminano batteri ed infestanti e si inibisce la germogliazione di tuberi e bulbi. Ad oggi questo sistema è usato raramente e deve essere segnalato al consumatore attraverso l’indicazione del suo utilizzo sulla confezione (con un simbolo apposito e la dicitura “irradiato” o “trattato con radiazioni ionizzanti”).
Tecnica meno invasiva e largamente utilizzata è l’atmosfera modificata: consiste nel conservare un alimento in una confezione ermetica nella quale l’aria è stata sostituita da una miscela di gas creata differente a seconda dell’alimento da conservare.
Ci sono infine da segnalare alcune tecniche emergenti che cominciano ad essere utilizzate dall’industria che sono la pascalizzazione, la sonicazione, i campi elettrici pulsati e il riscaldamento ohmico.
La pascalizzazione consiste nel sottoporre l’alimento ad altissime pressioni (tra 4000 e 8000 bar) per tempi abbastanza lunghi in modo che i microrganismi contenuti siano distrutti ma non si alteri il sapore del prodotto. Sembra che questa tecnologia possa denaturare le proteine allergizzanti.
La sonicazione consiste nel sottoporre l’alimento ad ultrasuoni che generano la formazione di milioni di micro bolle nei microrganismi presenti. Nel momento in cui il fascio di ultrasuoni si interrompe, le bolle implodono e distruggono il microrganismo.
I campi elettrici pulsati e il riscaldamento ohmico utilizzano la corrente elettrica per eliminare i microrganismi. Il riscaldamento ohmico sfrutta il passaggio della corrente nell’alimento che si riscalda rapidamente in modo uniforme e quindi non subisce danneggiamenti come invece avverrebbe con la sterilizzazione. I campi elettrici pulsati sono dei campi elettrici che vengono applicati all’alimento per mezzo di due elettrodi. Questi campi elettrici causano la rottura della membrana cellulare dei microrganismi, tutto in pochi microsecondi.
Ogni sistema è buono, insomma, purchè il cibo non si sprechi e non faccia male.
Foto apertura: da www.nonsprecare.it