Michael Pollan è un giornalista californiano che scrive di cibo, in America è diventato una sorta di guru del mangiar sano, un’autorità indiscussa del campo, e con i suoi libri ed i suoi articoli ha portato avanti numerose battaglie contro fast food, cibi confezionati e similari.
Forse il suo saggio più noto è Il dilemma dell’onnivoro, un viaggio all’interno della catena alimentare, nelle contraddizioni dei processi produttivi dell’industria del settore che non risparmia neanche l’ambito del biologico.
Il fatto però è che Michael Pollan è un giornalista americano e racconta e denuncia la situazione americana, che per fortuna non è del tutto simile a quella italiana, non fosse altro che per i secoli di tradizioni gastronomiche che ci portiamo sulle spalle e per la miriade di ottima materia prima di cui siamo i felici produttori.
Motivo per cui quando nel corso di un incontro al Festival della Letteratura, tenutosi a Mantova dal 3 al 7 settembre, nel presentare la sua ultima fatica, “Cotto”, ha sostenuto con enfasi quanto e perché sia importante cucinare ho letto negli occhi di chi mi accompagnava la perplessità di chi sta ascoltando delle ovvietà.
Il libro, uscito da qualche mese ed edito da Adelphi, parte da una premessa che Pollan chiama “il paradosso della cucina”: proprio nel momento in cui in ogni dove si fa un gran parlare di cibo, si cucina sempre meno e si acquistano più pasti pronti. Non so però quanto questo paradosso valga anche per l’Italia, ovvero, sì, mai come ora l’argomento cibo sta saturando tutti i canali di comunicazione, ma probabilmente questo gran parlarne ci sta facendo tornare anche una gran voglia di cucinare; cosa si cucini e come lo si cucini è un altro discorso.
Cucinare, trasformare il cibo quasi alla stregua di un alchimista, è l’attività che per Michael Pollan caratterizza l’essere umano. Concetto già espresso verso la fine del ‘700 dallo scozzese James Boswell che definì l’homo sapiens l’animale che cucina, e ripreso un paio di secoli dopo da Lévi- Strauss e non solo da lui.
Pollan insiste sul fatto che la cottura del cibo ci ha reso degli animali socievoli e civili e che il pasto condiviso, a cui gli americani continuano a preferire il cibo già pronto mangiato frettolosamente, è il fondamento della vita familiare, è il momento in cui più che mai si condivide, si discute, si ascolta. Cosa di cui noi italiani, a mio modesto avviso, siamo sempre stati coscienti. Ci siamo sempre riuniti, dove meno dove più, intorno ad una tavola con familiari ed amici ed ancora continuiamo a farlo.
Partendo quindi dalla premessa che la cucina è una delle attività umane più interessanti e degne di essere intraprese Pollan ha deciso di imparare a cucinare, e per farlo si è imbarcato in un viaggio lungo tre anni sotto la guida di chef, panettieri, maestri casari e birrai, al fine di impadronirsi “di quattro delle fondamentali trasformazioni che chiamiamo <cucina> – arrostire sul fuoco, cuocere in un mezzo liquido, fare il pane e far fermentare ogni genere di ingrediente-“.
Il libro diviso per l’appunto in quattro parti è un percorso che inizia dal suo apprendistato con il fuoco, con il “tipo di cucina più elementare e più antico”, ovvero la carne alla griglia, passa per la cottura con l’acqua, in cucina, nel regno domestico, affronta poi l’aria, che è quello che differenzia un pezzo di pane ben lievitato da una pappetta di acqua e farina ed approda infine alle arti della fermentazione (di ortaggi, di latte ed alcolica).
In appendice quattro ricette, una per ciascuna delle trasformazioni esaminate, compresa una pasta con sugo di carne in cui utilizzare olio vergine d’oliva, non extra vergine, Pollan ci tiene bene a precisarlo.
Cotto, Michael Pollan, Adelphi.
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