Presentato alla Berlinale, nella sezione Culinary Cinema, il 12 febbraio scorso, “Couscous island” è un documentario che racconta la produzione del couscous salato di miglio, Presidio Slow Food, e la vita della comunità che intorno ad esso aspira a costruire il proprio futuro.
Si chiama Fadiouth, ed è una piccola isola del Senegal costituita interamente di conchiglie e collegata alla terra ferma da un ponte di legno. Il couscous e la pesca sono stati da sempre le fonti di sostentamento della popolazione di etnia Sereer che la abita, ma la presenza massiccia di barche da pesca formalmente senegalesi ma in realtà provenienti da altri paesi ha ridotto all’osso le risorse ittiche. Nell’area di Fadiouth si coltiva tradizionalmente una varietà di miglio, il sunnà, la cui produzione è costantemente in calo, non avendo un particolare appeal commerciale. Da esso si ricava, attraverso un lungo processo di lavorazione, un couscous la cui particolarità sta nel cereale utilizzato, nel procedimento che ne prevede il lavaggio in acqua di mare, che gli conferisce il gusto salato, e nella fermentazione, che lo rende acidulo.
Alla lavorazione del couscous si dedicano in gruppo le donne dell’isola, riunite, grazie al Presidio, in una cooperativa alla quale è stato messo a disposizione un locale-laboratorio per garantire un ambiente di lavoro che risponda alle norme igienico-sanitarie. Il Presidio, istituito nel 2011 e sostenuto dalla FAO, si propone anche di incoraggiare la coltivazione del miglio sunnà e di indurre la comunità a mantenere pulite le acque marine per consentire la lavorazione del couscous con il metodo tradizionale, e si occupa di offrire una formazione tecnica alle donne impegnate nel processo, che lavorano fianco a fianco in armonia malgrado le differenze religiose (sono in parte cristiane e in parte musulmane), in un clima di collaborazione che è prerogativa dell’isola, dato che tradizionalmente le famiglie si scambiano cibo e doni in occasione delle rispettive festività.
Per ottenere il singolare couscous salato, il miglio viene prima mondato, quindi setacciato e lavato nelle acque del mare. Dopo la macinazione, lo si bagna con acqua lavorandolo con le mani e lo si setaccia nuovamente per ottenere i grani per poi lasciarlo fermentare per una notte all’interno di zucche svuotate, ricoprendolo con un telo. Infine, prima della cottura il couscous viene mescolato a foglie di baobab ridotte in polvere, che fungono da legante. Nell’alimentazione locale lo si accompagna prevalentemente a pesce, molluschi, arachidi, fiori di mangrovia.
Il documentario “Couscous island”, realizzato da Francesco Amato e Stefano Scarafia, è il terzo di una serie facente parte integrante del progetto 4Cities4Dev: cofinanziato dall’Unione Europea, il progetto si propone di mettere in contatto l’Europa con realtà produttive delle aree remote e povere del sud del mondo, e lo fa coinvolgendo alcune città europee che “adottano” comunità del cibo sostenendone l’impegno, approfondendone la conoscenza, diffondendo tra i cittadini europei la consapevolezza di ciò che c’è dietro il consumo e l’alimentazione.
Attualmente il progetto coinvolge le città di Torino, Tours, Bilbao e Riga e sette comunità del cibo: Somé Dogon (Mali) e Cuscus salato di miglio dell’isola di Fadiouth (Senegal), entrambe “adottate” dalla Città di Torino; Bottarga di cefalo delle donne Imraguen (Mauritania) e Orti comunitari di N’ganon e Nangounkaha (adottate da Tours); Caffè selvatico della foresta di Harenna (Etiopia) e Yogurt dei Pokot con la cenere (Kenya), adottate dalla Città di Bilbao; Vaniglia di Mananara (Madagascar) adottata dalla Città di Riga.
Dopo la presentazione alla Berlinale, il documentario è ora disponibile per la visione on line.
Maggiori informazioni sulle iniziative e gli eventi organizzati da 4Cities4Dev sul sito del progetto.
Ecco il video di presentazione del progetto 4Cities4Dev:
Foto di apertura: ©Paola Viesi per 4Cities4Dev