Dove il dolce è uno stile di vita

I più li avranno studiati sui libri di scuola, gli anni della Vienna fin-de-siécle, anni in cui i celebri caffè viennesi erano animati dal chiacchiericcio di scrittori, musicisti, artisti che li rendevano centri di elaborazione e scambio di idee. Tra decine di splendidi dolci che rutilavano nelle loro vetrinette e sulle loro alzatine.

La pasticceria austriaca ha goduto del suo trionfo in quei caffè, e ne gode ancor oggi, anche perché, pur avendo alle spalle una tradizione secolare, molti dei dessert che ne hanno fatto la gloria risalgono all’epoca di Franz Joseph, quella della monarchia imperial-regia (composta cioé dall’impero d’Austria e dal regno di Ungheria, entrambi governati dagli Asburgo), di un impero sterminato travagliato da conflitti interni ma anche di grande fioritura culturale e scientifica. Una dozzina di nazionalità, in quell’impero smisurato, più di quindici lingue parlate, innumerevoli dialetti; e altrettanti influssi culinari che sono andati a formare un patrimonio dolciario talmente compiuto in se stesso da essere ben poco soggetto al rinnovamento della contemporaneità.
Dall’Ungheria alla Boemia, dalla Croazia all’Ucraina, ogni terra inclusa nell’impero ha dato il suo contributo, e lo hanno dato anche i nemici di un tempo precedente, i Turchi, al cui influsso si deve probabilmente la pasta dello Strudel, che ricorda molto da vicino la pasta fillo.
L’impero è stato smembrato dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, i caffè, e soprattutto i dolci, sono rimasti, portando con sé talvolta autentiche leggende sulla propria origine o interminabili strascichi di contese legali, come nel caso della celeberrima Sachertorte. Che, pare ormai certo, fu inventata da Franz Sacher ai tempi in cui era apprendista cuoco addirittura presso il principe Metternich. L’invenzione dello stesso Strudel viene attribuita dalla voce popolare a una certa Milli, cuoca di epoca Biedermeier, mentre è praticamente certo che il dolce sia molto, molto più antico. Eppure ancora oggi il caffè Sacher serve uno “Strudel alla panna di Milli”.

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In pochi paesi la pasticceria è così parte della cultura, della storia e della vita quotidiana. Il dolce è un’abitudine pomeridiana imprescindibile, sedersi al caffè a mangiarlo una consuetudine confortante. Ogni caffè ha in carta i suoi Mehlspeisen, quasi tutti li espongono ai vogliosi avventori in affollate vetrine. Quella ricchezza di impasti, creme, burro, panna, si declina in una sorprendente varietà di torte sontuose e complesse, ma anche di dolci più semplici, più simili a torte casalinghe che a capolavori della pasticceria imperiale.
Kuchen, si chiamano questi ultimi, non glassati e farciti in modo semplice; Torten i più elaborati, decorati, con basi di Pan di Spagna o biscuit e farciture ricche. Poi c’è il resto, e non da poco: pani dolci, krapfen, brioches. I francesi, che ne sanno, li chiamano giustamente Viennoiseries; gli americani, che ne sanno di meno, chiamano le sfoglie lievitate Danish Pastry. Ma anche per questo c’è una ragione.
La sfoglia lievitata che caratterizza i croissants e i dolci simili fu inventata certamente da fornai viennesi. Chiamata Plunderteig, fu alla base del Kipferl (il croissant, appunto) ben prima che Maria Antonietta d’Asburgo impalmasse Luigi XVI di Francia e decidesse di portare la sfoglia e il Kipferl nella sua nuova patria.
Alla metà del XIX secolo, in seguito a uno sciopero dei fornai danesi, colleghi viennesi li sostituirono temporaneamente importando così in Danimarca il Plunderteig, che riscosse grande successo e continuò ad essere utilizzato anche quando le cose tornarono alla normalità. In seguito, la sfoglia gonfia e dorata arrivò negli Stati Uniti con l’immigrazione dalla Danimarca, e divenne, negli USA, danish per sempre.
Che siano kuchen o torten, gli inimitabili dolci austriaci hanno sfilato sulle tavole di imperatori e re, e hanno nomi che spesso evocano personaggi storici, eventi cruciali, oltre agli ingredienti principali o agli inventori della ipercalorica delizia.
Tra i kuchen, la Topfentorte, una sorta di cheesecake a base di ricotta, o la Burgtheatertorte, al cioccolato e alle arance candite, che prende il nome dal teatro di Vienna splendidamente affrescato da uno scandaloso, per i tempi, Klimt. O ancora il Mohnkuchen, ai semi di papavero, e il classicissimo Gugelhupf, con le sue varianti alla banana, al papavero, marmorizzata.

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Tra le torten, se una Maronitorte ha un nome che denuncia da sé il contenuto, c’è anche una Esterhazytorte che prende il nome dall’aristocratica e ricchissima famiglia ungherese, ed è formata da sei strati di pasta a base di nocciole o mandorle intervallati da una crema al kirsch, e sormontata da una glassa decorata con un motivo al cacao; una Malakofftorte (la mia preferita, per inciso) a base di biscotti morbidi simili ai savoiardi e bavarese al rum o al Cointreau, che commemora la battaglia di Malakoff del 1855, combattuta tra francesi e russi durante la Guerra di Crimea, e una Panamatorte che celebra con cioccolato e mandorle l’apertura del Canale di Panama, completato nel 1914.

Più antica la famosissima Linzertorte, la cui prima ricetta stampata risale al 1719 e il cui nome è umilmente derivato dalla sua città d’origine. Mentre la Dobostorte deve il suo nome semplicemente al pasticciere ungherese che la inventò, József Dobos, apprezzatissimo dallo stesso Franz Joseph e dall’imperatrice Elisabeth, che fino al 1906, anno del suo ritiro, ne custodì gelosamente la ricetta per poi donarla alla sua associazione di categoria. Cinque sottili strati di pasta farciti con una crema al burro al cioccolato a cui si sovrappongono degli spicchi di pasta croccante ricoperta di caramello: una delle torte più celebri del mondo, e a buon diritto.
Rare sono le trasgressioni creative alle ricette ormai codificate. Al Caffè dell’Hotel Sacher troverete qualche monoporzione che strizza l’occhio alla modernità; negli altri, la pletora di torte tradizionali non ve ne farà avvertire il bisogno.

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Sedete su una sedia Thonet, a un tavolino di marmo, da Demel o al Café Central o ancor al Griensteidl, il caffè letterario per eccellenza, che ha visto passare tutti gli scrittori della Jung Wien, da Schnitzler a Hofmannsthal, prima di essere demolito nel 1897 e ricostruito alla fine degli anni ’80 del ‘900. Ordinate un einspänner, delizioso caffè con cappello di schlagobers (panna montata) e scegliete una fetta di torta dalla vetrinetta. O anche un “comune” strudel, magari in una delle sue varianti: kirschstrudel (alle ciliegie), topfenstrudel (alla ricotta), milchrahmstrudel (al formaggio fresco). Mentre leggete il giornale e guardate il mondo sfilare al di là dei vetri, la mente vi correrà alla vecchia K.u.K, “Kaiserlich und Königlich” (la monarchia imperial-regia), quella che Musil chiamò Kakania. Con affetto, pensando alla dolcezza che ha portato fino a voi.
E assaporando così anche la dolcezza della vita, e il gusto del perdere tutto il tempo che volete senza che alcun cameriere vi faccia pressione, capirete meglio anche il senso della celebre battuta di Leopold Berchtold, Ministro degli Esteri dell’Austria-Ungheria dal 1912 al 1915, quando Victor Adler gli prospettò l’eventualità di una rivoluzione in Russia: “E chi farà mai questa rivoluzione, forse il signor Bronstein del Café Central?”.
Il signor Bronstein, meglio noto come Trotsky, da abituale frequentatore del caffè in questione, doveva parergli troppo deliziato e rilassato per cacciarsi in una storia del genere…

               

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Giovanna Esposito

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