Sembra che soltanto il 10% dei consumatori abbia l’abitudine di leggere le etichette degli alimenti prima di acquistarli, pratica non certo incoraggiata dalla dimensione dei caratteri e dalla presenza di codici e diciture che possono risultare oscuri ai più.
Ammetto di far parte di quel 10%. Leggo qualsiasi etichetta, pur avendone una necessità limitata, dal momento che acquisto pochissimi alimenti confezionati e niente di pronto. La lettura dell’etichetta è il primo passo per comprare nel modo giusto e con la consapevolezza di ciò che si sta per mettere nel piatto: certo, leggendola si sceglie di fidarsi, ma l’etichetta è uno dei pochi strumenti di tutela dei quali disponiamo e nonostante i limiti e le omissioni può dirci molto su ciò che il mercato offre. Anche al primo sguardo.
Ad esempio, è preferibile scegliere un prodotto che contiene pochi ingredienti piuttosto che uno con una lista di ingredienti lunga quanto la Bibbia; e ancora: poiché gli ingredienti vengono riportati in etichetta in ordine decrescente di peso, già ad un’occhiata sommaria possiamo confrontare la qualità di due prodotti. Se uno yogurt alla fragola contiene più zucchero che frutta, preferiamone uno che contenga più frutta che zucchero, caratteristica che naturalmente inciderà sul prezzo.
La prima indicazione che troviamo sulle etichette dei prodotti preconfezionati è la denominazione di vendita del prodotto, che è quella che lo definisce, che spiega cosa dobbiamo aspettarci che la confezione contenga, e non può essere sostituita da nomi di fantasia o da nomi commerciali: “Pasta di semola di grano duro” è ad esempio la denominazione di vendita che affiancherà la denominazione commerciale “Spaghetti” o “Penne” o “Rigatoni”, mentre “Formaggio fresco a pasta filata” è la denominazione di vendita che apparirà sul fiordilatte. Se un prodotto si chiama “Delizia cremosa” è nostro diritto sapere che si tratta di un formaggio fresco spalmabile anziché fare uno sforzo di fantasia per indovinarlo o affidarci all’immagine, a volte ingannevole o fuorviante, stampata sulla confezione.
Sui prodotti preconfezionati dobbiamo trovare chiaramente indicati in etichetta gli ingredienti, la quantità o peso, il nome del fabbricante e/o del confezionatore e la sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento, il lotto di appartenenza del prodotto, le eventuali modalità di conservazione o utilizzazione, in alcuni casi il luogo di origine o provenienza, la quantità in percentuale di alcuni ingredienti, se caratterizzanti il prodotto; la data di scadenza o il termine minimo di conservazione.
Le indicazioni che ci interessano in maniera più immediata, in quanto consumatori, sono proprio la data di scadenza e gli ingredienti.
La data di scadenza è indicata con la dicitura “Da consumarsi entro il…”, ed è riportata sui prodotti più deperibili. Indica il termine perentorio dopo il quale l’alimento non deve più essere consumato né messo in vendita.
Il termine minimo di conservazione è indicato con la dicitura “Da consumarsi preferibilmente entro il…”, e indica invece una data entro la quale il prodotto, se adeguatamente conservato, mantiene tutte le sue specifiche proprietà di gusto, odore eccetera. Successivamente a questa data l’alimento può ancora essere consumato ma può perdere alcune delle sue caratteristiche organolettiche. Resta il fatto che si tratta di un prodotto non freschissimo, ed è preferibile perciò non acquistarlo né consumarlo. Purtroppo capita che le date in questione non siano messe adeguatamente in evidenza. Resta il fatto che non vanno trascurate mai.
La data di scadenza non è obbligatoria per alcuni alimenti, tra i quali i prodotti ortofrutticoli freschi, i vini, le bevande con un contenuto di alcool pari o superiore al 10%, i prodotti freschi di panetteria e pasticceria che vanno consumati entro ventiquattr’ore dalla fabbricazione, gli aceti, il sale, gli zuccheri solidi, i prodotti di confetteria, i gelati monodose.
E veniamo agli ingredienti: vengono elencati in ordine decrescente di peso. Talvolta troviamo in etichetta anche la percentuale di un ingrediente presente nell’alimento; questo avviene quando quell’ingrediente caratterizza il prodotto, differenziandolo da altri prodotti analoghi, o viene messo particolarmente in risalto nella denominazione di vendita. Se, ad esempio, acquistiamo una “Merenda di pan di Spagna con confettura di fragola”, dovremo conoscere la percentuale di confettura che è stata impiegata nella preparazione.
L’elenco degli ingredienti non è obbligatorio sui prodotti costituiti da un solo ingrediente (l’olio, il latte), sui vini, la birra e i distillati, sull’acqua minerale, sui prodotti ortofrutticoli freschi che non hanno subito particolari trattamenti o manipolazioni, sui derivati del latte (come il burro, il formaggio o lo yogurt) ai quali non siano stati aggiunti ingredienti diversi dal latte, dal sale e dagli enzimi o microrganismi necessari alla loro produzione.
Nell’elenco degli ingredienti devono essere chiaramente indicati anche gli additivi alimentari, vale a dire quelle sostanze che vengono aggiunte ad un alimento per garantirne la conservazione o conferirgli determinate caratteristiche di consistenza o aspetto, come i conservanti, i coloranti, gli addensanti.
Sono indicati con la categoria alla quale appartengono (ad esempio “edulcoranti” o “antiossidanti”) e il loro nome o il loro codice identificativo, composto da una E seguita da un numero.
Potremo trovare, per esempio, l’indicazione “Colorante: curcumina” o, in alternativa: “Colorante: E 100”.
Gli additivi sono talvolta essenziali per per preservare la freschezza degli alimenti, in altri casi hanno l’unico scopo di rendere più attraente il prodotto per il consumatore, come nel caso, appunto, dei coloranti. Se la crema all’arancia della vostra merendina ha un bel colore giallo vivo, è sicuro che non le deriva dalla presenza del succo d’arancia o della sua buccia, che tutt’al più le darebbero un colore paglierino. Può averlo acquisito con l’aggiunta di E 160a, cioè carotene, ma vi farebbe meno piacere sapere che l’ha acquisito grazie all’E 110, colorante azoico, tossico in dosi elevate, sconsigliato ai bambini. Perciò, occhio all’etichetta della vostra aranciata.
Inutile dire che anche in questo caso il buon senso è la migliore guida: se ad esempio una maionese contiene coloranti è facile che abbia meno tuorli di una che non ne contiene.
Una menzione a parte meritano le sostanze aromatizzanti. Aggiunte spesso per ottenere un gusto che è andato perso a causa dei processi di lavorazione, la loro presenza deve essere chiaramente menzionata nell’etichetta. In caso si tratti di aromi derivati direttamente da materie vegetali o animali, saranno citati come “aromi naturali”, se si tratta invece di aromi sintetici, prodotti artificialmente in laboratorio, in etichetta saranno definiti genericamente “aromi”, cosa che avverrà anche nel caso in cui siamo presenti contemporaneamente aromi sintetici e naturali.
Attenzione ai prodotti “al gusto di…”. Una torta al gusto di mandorla può non contenere alcuna traccia di mandorle, ma solo aromi che le conferiscono un sapore simile a quello delle mandorle. In caso contrario, si chiamerebbe “Torta alle mandorle”. Un prodotto “al gusto di cioccolato” conterrà probabilmente cacao, non cioccolato. I bastoncini di surimi al gusto di granchio possono non aver mai intravisto un granchio, ma essere preparati con polpa di pesce (di solito merluzzo) aromatizzata. Una caramella al limone contiene sicuramente del limone in qualche forma (succo, scorza, estratto) mentre una caramella al gusto di limone contiene solo aromi.
E quand’anche in etichetta, in questi casi, fosse riportata la dicitura “aromi naturali”, ciò non vorrebbe necessariamente dire che la caramella al gusto di limone contenga aroma estratto dal limone: è sufficiente che l’aroma in questione non sia un composto chimico inesistente in natura perché sia considerato naturale, il che significa che l’aroma naturale può essere estratto da qualsiasi cosa che si trovi in natura e dia al nostro palato una sensazione simile a quella del limone.
Inoltre, anche una caramella al limone che contenga realmente limone può contenerne solo una minima percentuale ed essere insaporita con aromi di diversa origine.
La realtà è che i trattamenti ai quali i cibi industriali vengono sottoposti li privano della maggior parte del loro gusto, e ciò rende necessaria l’aggiunta di sostanze aromatizzanti per restituire loro una parvenza di ciò che hanno perduto.
Infine, gli ingredienti più rischiosi per i soggetti allergici devono essere chiaramente indicati anche se presenti solo in tracce, come nel caso di ingredienti non utilizzati nella realizzazione del prodotto ma impiegati in altre lavorazioni all’interno della fabbrica produttrice, e che quindi possono aver contaminato il prodotto. Troveremo, in questo caso, la frase: “Può contenere tracce di…”.
A volte si specifica più semplicemente che lo stabilimento di produzione utilizza alcuni ingredienti potenzialmente pericolosi per i soggetti allergici.
Alcuni prodotti riportano anche le caratteristiche nutrizionali in un’etichetta apposita. L’etichetta nutrizionale è facoltativa, diviene obbligatoria solo nel caso in cui il prodotto venga presentato, nella pubblicità o sulla confezione, come dotato di particolari caratteristiche nutrizionali (a basso contenuto di grassi o di zuccheri, ad esempio). L’etichetta nutrizionale in genere contiene indicazioni relative al valore energetico e alla quantità di proteine, glucidi, lipidi, fibre alimentari, sodio, vitamine e minerali presenti in una porzione specificata di alimento. Nel caso delle vitamine e dei sali minerali, è anche indicata la percentuale di tali nutrienti presenti nell’alimento in rapporto alla dose giornaliera consigliata.
I prodotti sfusi o preincartati (come ad esempio i formaggi tagliati al banco salumeria del supermercato e venduti porzionati in vassoietti) sono soggetti a norme meno restrittive. Devono riportare obbligatoriamente solo la denominazione di vendita e l’elenco degli ingredienti. In più, per gli ortofrutticoli devono essere indicati la varietà, il calibro e l’origine, per il pesce la zona di provenienza e il metodo di produzione (pescato / allevato), per la pasta fresca la data di scadenza, e, in caso di prodotti molto deperibili, le modalità di conservazione.
Piccola notazione personale: particolarmente utile, a mio parere, è l’indicazione dell’origine dei prodotti ortofrutticoli. Qualcuno dovrebbe spiegarmi per quale ragione dovrei acquistare dei peperoni provenienti dall’Olanda, ad esempio, magari nel pieno della stagione estiva (in qualsiasi altra stagione, il mio consiglio è semplicemente quello di astenersi dal comprare e consumare peperoni).
La lettura dell’etichetta può essere talvolta anche fonte di diletto e avere effetti involontariamente comici. Mi è capitata sott’occhio l’etichetta di una bottiglia di olio extravergine d’oliva. Vantava la lunga tradizione e il secolare radicamento nel territorio toscano del produttore e della sua famiglia; data questa premessa, ci si aspetterebbe che la bottiglia contenesse dell’olio toscano, invece la dicitura sottostante specificava che l’olio in questione era costituito da una miscela di olii comunitari. Mi sono domandata quale rilevanza avesse il radicamento della famiglia in Toscana: vivendo nelle Marche o in Valcamonica sarebbe stata incapace di selezionare gli olii comunitari? Quello posso farlo anch’io, senza per questo dovermi trasferire nella terra di Dante e Petrarca…