Abbassavo la testa quando entravo nel “bassocomodo”, le ragnatele erano più alte dei grappoli d’uva bianca e nera appesi, delle trecce d’aglio, dei pomidorini infilzati e legati a catena che dovevo scansare. C’era odore di mais, il mangime dei polli e c’erano le cassette con le mele, con le nespole, con i cachi. L’autunno era la stagione che portava sulla tavola la frutta che da bimba mi piaceva meno. Anche le giuggiole che cadevano in terra non mi sono mai piaciute. Fino a ieri. Tutto ha acquistato un gusto nuovo nell’attimo esatto in cui mi è venuto a mancare. E come si fa a dimenticare? Come si fa a dimenticare i frutti che hanno mangiato i nostri bisnonni, nonni e genitori prima di noi? E’ semplice, basta andare a fare la spesa al supermercato e accontentarsi.
Ma per fortuna ci sono uomini che non si arrendono alle mode, anzi hanno la spavalderia di rilanciarle le mode, si mettono in testa di coltivare tutti i frutti che nessuno cerca più, per non perdere le radici e i sapori di un tempo che vedeva l’inverno appeso ad appassire.
Quello che vi presento oggi si chiama Domenico Ghetti, è romagnolo, ha la faccia che potrebbe assomigliare a Raul Casadei, la parlata schietta, italianodialetto fluente. Come tutti i romagnoli, comincia un discorso e ne porta a termine tre, usa i gesti e le pause per guardarti negli occhi.
Ho cominciato che andavo in giro la domenica, su e giù qui d’intorno a casa e se vedevo un pero, per esempio, in un campo abbandonato, lo adottavo. Poi andavo a vedere la fioritura, l’hai mai vista te la fiuridura d’avrìl? L’è un spettacul. È uno spettacolo davvero sai? Si riempie la collina di bianco e di rosa, di fior di melo e di pero. E quando ci tornavo per vedere il frutto mi accorgevo che quella pera non era conosciuta, era un frutto del passato, di queste terre qvi. Capisci? Capisco che parla di autoctono, di terra, ma soprattutto parla con il cuore e la competenza delle mani e, mentre mi parla, tocca ogni foglia, ogni frutto rimasto sulla pianta, raccoglie da terra e me lo porge.
Questa l’è la fujona, buona cotta e cruda, si mantiene tutto l’inverno e la selezione è naturale vedi? Non ha bisogno di tanti trattamenti vedi? I frutti caduti a terra sono bacati, se piace al verme è buona anche per noi. Questa è la musabò, perché è allungata come il muso del bue, una volta si dava il nome alle cose con quello che riconoscevi meglio e il bue non mancava in nessuna casa. Le mele Piatlaza, (piatta e schiacciata) riznosa (con la buccia ruggine), gelata (con la polpa come se avesse preso una botta di freddo), della rosa (che par la guancia rosa di una bella signora).
Andiamo avanti camminando in mezzo agli alberi di mele e pere ecco la volpina, la volpona, la mora di faenza, il martin sec e la broccolina (quanto mi piace la broccolina) che somiglia alla cocomerina, rossa dentro, ma tardiva e più grossettina e la scipiona, che veniva conservata in trecce da appendere in cantina, lo sai perché? Perché così ne staccavi una alla volta senza muovere e pestare le altre, nella cassa al s’amàca (si ammaccano).
Camminiamo e mi racconta degli innesti, fatti per recuperare le piante. E’ dagli anni ’80 che Domenico porta avanti la sua ricerca, prima che diventasse moda, prima che diventasse sagra e mercato. Guarda qui, ho innestato una pera in un melograno, mi sono sbagliato ma adesso ho una pera che devo trovarci il nome, ha le foglie del melograno e il frutto che è pera. E vedi come maturano diversamente questi frutti, la raccolta è scalare, ci si mette anche 20 giorni, non come adesso che ci facciamo mangiare dalla fretta. E quando parliamo di frutti dimenticati non parliamo solo di giuggiole, azzeruole, rosa canina, corbezzolo, cotogne, nespole. Parliamo di varietà di pere, mele, uva, susine e prugne che non hanno trovato posto nella grande distribuzione, ma nelle case dei nostri nonni, nelle terre dei nostri inverni passati c’erano tutte e quelle che han resistito meritano di essere salvate, mangiate e raccontate.
E’ diventato un divulgatore Domenico Ghetti. Si devono a lui numerosi laboratori e convegni, si deve a lui il lavoro che ogni anno viene fatto alla festa dei frutti dimenticati di Casola Valsenio, giunta quest’anno alla XXIV edizione. Ma per capire e conoscere il suo lavoro vi consiglio una gita a Marzeno in via Ceparano. Vi ci porta quasi per mano e vi chiederà di adottare un pero. Non sarebbe bello un pero che porta il vostro nome? Il vostro impegno dovrà essere quello di controllarne la fioritura, il procedere nella stagione e raccoglierne i frutti.
Domenico, e quella stesa di mele? E’ un esperimento, l’abbondanza rossa sdraiata sulla guazza, che prende il sole di giorno. Guazza e sole, è una prova che sto facendo.
Frutti dimenticati, dove? Si possono comprare nell’Antico Pomario e su Fruttidoro. In Romagna sono celebrati a Pennabilli, a Casola Valsenio e, quest’anno, anche Bologna, qui.
Venite a farvi un bel weekend fuori dal solito, “cus aj vol, avni a fer un zir”.
Credits: la foto di copertina e questa sopra sono di Claudio Lazzarini e sono relative alla festa di Pennabilli, le altre sono di MicheleMarri e sono state fatte all’azienda agricola Ghetti.