Quasi tutti conoscono, almeno di fama, il museo di Capodimonte, a Napoli, situato nella reggia che fu costruita per volontà di Carlo III di Borbone, e che ospita, tra l’altro, la celeberrima collezione Farnese.
Ma sono molti di meno quelli che, al di fuori del territorio cittadino, conoscono il magnifico bosco ai cui margini il museo sorge.
Concepito inizialmente come riserva di caccia reale, trasformato in seguito in giardino all’inglese, il Real Bosco di Capodimonte è una grande e splendida area verde di circa 134 ettari e di grande varietà botanica, costellata da prati e da edifici storici, percorsa da una rete di viali oggi frequentati da ciclisti e podisti, e ricca di alberi secolari.
Come ha a che fare questo con il cibo, visto che qui di cibo si parla?
Confesso la mia profonda ignoranza, ma ho scoperto solo di recente che, oltre a possedere un’innegabile bellezza, il bosco ha avuto in passato molteplici finalità produttive. La più nota è quella legata all’arte della porcellana, praticata nella Real Fabbrica di Capodimonte; ma intere aree erano destinate alla coltivazione, e lo sono rimaste a lungo, fino alla decadenza seguita alla Seconda Guerra Mondiale.
Sembra perciò logico e lungimirante che il vasto progetto di riqualificazione e valorizzazione del bosco attualmente in corso, che prevede, tra l’altro, il restauro e la rifunzionalizzazione degli edifici che si trovano al suo interno, miri anche a far rinascere le attività che possono esserne la ricchezza: la manifattura della porcellana, appunto, e l’agricoltura.
Il progetto, elaborato da Guido Gullo, direttore del Real Bosco di Capodimonte, Patrizia Nicoletti, della Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania, e Salvatore Barletta, Direttore dei Sistemi Informativi della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Napoli e Provincia, include infatti una collaborazione con Slow Food Campania e con Lande srl, società specializzata nel ripristino e nella cura del verde storico e urbano, che ha già condotto ad un bel risultato. Al momento sono stati destinati alla coltivazione i 2000 ettari della Masseria Torre, un meraviglioso giardino con l’atmosfera appartata e raccolta di un chiostro verde, sviluppato intorno a un gigantesco e plurisecolare lauro canfora.
Nel tentativo di far rivivere gli orti e i frutteti che furono dei Borboni prima e dei Savoia poi, in quello che fu uno dei “giardini delle delizie” settecenteschi del vasto parco, sono stati piantati prodotti tipici del territorio e/o presidi Slow Food come le papaccelle, i pomodori san Marzano, i fagioli cannellini “Dente di morto” di Acerra, le pere spadone, mele annurche, agrumi.
I primi raccolti hanno dato buoni frutti (è il caso di dire) e i prodotti verranno destinati alla trasformazione e alla conservazione, con l’obiettivo di commercializzarli all’interno del bosco stesso, magari in accattivanti confezioni di porcellana di Capodimonte, per la gioia dei visitatori cittadini e dei turisti, nella speranza nemmeno tanto remota che il Real Bosco di Capodimonte possa autofinanziarsi e autogestirsi.
Speranza che mi sento di condividere, considerando gli sforzi fatti finora malgrado i soliti ostacoli burocratici e finanziari: mancavo dal bosco da molti anni e lo ricordavo poco accogliente e malsicuro. Ho visto, adesso, un’area verde curata e vitale, animata e sicura, con poliziotti a cavallo, edifici già restaurati o in corso di restauro grazie alla partecipazione di soggetti pubblici e privati, come il Corpo Forestale dello Stato, e una grande dedizione da parte di chi del bosco si occupa, oltre all’entusiasmo che nemmeno l’eterna lotta contro la scarsità di fondi e l’indifferenza riesce a spegnere.