Un cibo decisamente inusuale che potreste trovarvi ad assaggiare se andaste a visitare l’Islanda è l’hakàrl, meglio conosciuto come rotten fish o rotten shark. Chi ha confidenza con l’inglese può già intuire dal nome che non sarà un prodotto dal delicato profumo di pesce, infatti la traduzione letterale è pesce marcio o squalo marcio. L’hakàrl in fondo questo è, uno squalo lavorato ed essiccato in modo da diventare commestibile, con un odore fortissimo di ammoniaca ma con un gusto delicato.
Partendo da un pesce tossico, attraverso una lavorazione lunga e complicata, si arriva ad ottenere un cibo commestibile. La carne utilizzata proviene da due specie di squalo, lo squalo groenlandese e lo squalo elefante, ed è velenosa se consumata fresca perché ricca di acidi urici accumulati dall’animale privo di reni. Lo squalo viene sfilettato e i filetti ottenuti vengono sepolti sotto una terra sabbiosa/ciottolosa che, pressando sul pesce, fa in modo che si eliminino tutti i fluidi. Dopo un periodo che può arrivare fino a 3 mesi, i filetti vengono dissotterrati, tagliati a pezzi grossi (come uno speck) ed appesi a seccare per altri sei mesi circa. Durante l’essiccazione si forma sulla superficie una crosta rossastra che viene poi eliminata prima del consumo.
Ho avuto la possibilità di assaggiarlo allo stand islandese in occasione del Salone del Gusto di Torino dell’anno scorso, per essere sincero il simpatico standista islandese mi ha sfidato a provarlo e non ho saputo resistere! L’impatto con questo piccolo cubetto infilzato sullo stuzzicadenti è devastante, l’odore di ammoniaca è fortissimo e scoraggia decisamente l’assaggio, tuttavia una volta masticato ed inghiottito, il sapore che resta in bocca non è così male. L’eliminazione del gusto dalla bocca è comunque aiutato dalla bevuta di una acquavite islandese che solitamente si accompagna a questo piatto.
Anche gli svedesi hanno un piatto a base di pesce fermentato, leggermente diverso da quello islandese ma sempre dal gusto decisamente ‘difficile’. Il suo nome è surströmming: aringhe del baltico fermentate in un barile per un paio di mesi e poi inscatolate con una salamoia povera di sale per facilitarne l’ulteriore fermentazione. Attenzione all’apertura della latta che conserva il surströmming … pare che il gas contenuto fuoriesca con tutto il suo olezzo pestilenziale.
La nascita di questo prodotto non è nota, sembrerebbe risalire ai tempi in cui il sale era molto prezioso e quindi usato con estrema prudenza. Alcuni svedesi, per conservare i loro barili di aringhe, ne aggiunsero una quantità insufficiente ad impedirne la fermentazione. Il risultato di quella scarsa dose di sale fu proprio il surströmming che venne così mangiato ed apprezzato.
Entrambi sono alimenti di utilizzo non comune, infatti i loro estimatori sono decisamente in numero molto limitato. Vengono in genere consumati da autoctoni goliardici che si divertono a sfidare l’ignaro turista a caccia di usi tipici. Il sapore ‘unico’ di queste antiche preparazioni rimarrà per sempre impresso nella memoria di questi impavidi palati e il consumo di grappa locale che di solito segue ogni boccone garantirà per tutti risate e buon umore.
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