La leggenda racconta che circa due millenni e tre secoli prima di Cristo gli abitanti di una città siriana, aspettando un assedio da parte di un esercito nemico, cominciarono ad accumulare provviste e si preoccuparono di mettere in salvo il loro frumento: così lo raccolsero, benché fosse ancora immaturo, e lo stivarono; ma una sventurata casualità volle che il grano prendesse fuoco.
A incendio spento, strofinando i chicchi tra le dita, scoprirono che le glumelle erano bruciate ma i chicchi si erano salvati: all’interno erano ancora verdi e, in più, deliziosamente e leggermente tostati.
Un’altra versione della medesima leggenda sostiene invece che a bruciare il grano furono i nemici assedianti prima di ritirarsi, per vendetta.
D’altronde una leggenda è una leggenda, e in questo caso serve solo a confermare come certi alimenti, certi metodi di lavorazione, siano nati in modo del tutto casuale. Quale che sia la verità, era apparso il freekeh, farik in Arabo, noto anche come fireek, freeky, freek, frik, frieka e firik nei diversi paesi dell’oriente mediterraneo.
In realtà sembra che il freekeh abbia le sue origini storiche in Libano, nella regione del Jabal ‘Amel, nel sud del paese, dove è prodotto praticamente da sempre e dove tuttora si produce il migliore; la regione di Tiro e Sidone, antichi insediamenti fenici, gravida di storia e di mito. Nonostante la voga dell’alimentazione naturale abbia dato al “grano verde” una discreta notorietà nei paesi anglosassoni in anni recenti, nel Jabal ‘Amel operano solo 34 produttori, al momento, il cui freekeh è l’unico tutelato da un Presidio Slow Food. Il successo del freekeh invece ha portato alla diffusione della sua produzione industriale, ben distante nei metodi da quella tradizionale, anziché accrescere la ricchezza delle piccole comunità di coltivatori libanesi già messe a dura prova dalla guerra.
Il freekeh non è una varietà di grano, ma comune grano duro raccolto ad uno stadio precoce di maturazione e sottoposto a un particolare processo di lavorazione che, tra l’altro (ed ecco uno dei motivi del suo successo) ne preserva le qualità nutritive.
Al momento del raccolto, il grano è ancora verde e i suoi chicchi soffici e umidi; prima lo si lascia seccare al sole per un giorno, quindi gli si dà fuoco su un letto di arbusti, controllando attentamente la fiamma perché bruci soltanto la guaina del chicco (glumella); infine i chicchi vengono ripuliti e messi ad essiccare nuovamente al sole.
Il prodotto risultante è caratterizzato da un aroma leggermente affumicato, tostato, con una nota di gusto che ricorda la nocciola. Ricco di fibre, vitamine, proteine e calcio, molto più del grano duro maturo, si consuma intero o spezzato, e in questo caso i suoi utilizzi sono simili a quelli del bulgur. E’ un egregio sostituto del cous cous o del riso, tradizionalmente usato come accompagnamento di carni stufate in piatti algerini, egiziani, tunisini, turchi, giordani, palestinesi, libanesi e siriani. Costituisce il ripieno del piccione nell’hamam bi’l-farik egiziano, è ingrediente di una minestra nordafricana chiamata farikiyya, preparata con pollo o agnello e grano, molto simile all‘harissa curda. Farikiyya è anche il nome di uno dei piatti più antichi della cucina mediorientale, a base di carne stufata con cannella, coriandolo e cumino a cui si aggiunge il grano verde: un piatto citato addirittura nel Kitab al-Tabikh (libro di cucina), il più noto manoscritto di cucina araba medioevale, scritto nel 13° secolo a Baghdad da Muhammad ibn al-Hasan ibn Muhammad ibn Karim al-Katib al-Baghdadi, tradotto più volte in Inglese, anche in anni recenti da Charles Perry con il titolo: “A Baghdad Cookery Book by Muhammad Ibn al-Hasan al-Baghdadi”.
Grazie alla moda anglosassone e alla notorietà data al grano verde in primo luogo da Jamie Oliver, che ne è un grande estimatore, in rete sono disponibili molte ricette che utilizzano il freekeh. Un’ottima fonte resta però il volume di Claudia Roden “La cucina del Medio Oriente e del Nord Africa”, ricco di piatti a base di grano, bulgur, riso e cous cous che possono essere rielaborati in chiave frik.