La dolce arte di Carmen, pasticciera

C’è un mestiere che può essere fatto solo con amore, altrimenti non ne vale la pena. Un mestiere in cui non si finisce mai di imparare, giorno dopo giorno, pazientemente. E ci sono persone che quel mestiere lo praticano da una vita intera, perciò se si hanno meno anni di esperienza ci si può sentire in ritardo, alla rincorsa. Così vede il proprio lavoro Carmen Vecchione, giovane pasticciera di Avellino che da qualche anno fa spesso parlare di sé.

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E infatti è giovane, Carmen, anche se sembra pensare il contrario. Il fatto è che la sua passione per torte, monoporzioni, lievitati e praline si è sviluppata nel tempo, grazie ad alcuni incontri fatali che hanno cambiato il suo destino apparentemente già tracciato verso una direzione molto, molto diversa.
Da bambina le piaceva pasticciare in cucina e fare dolci, anche se la mamma, costretta poi a ripulire, non ne era proprio entusiasta. Ma non aveva pensato di trasformare in un lavoro quel suo spignattare che era gioco e divertimento; Avellino non offriva la possibilità di frequentare scuole specializzate, e Carmen finì a studiare economia. Le è servito, dice oggi, per la sua attività, ma a quei tempi in lei prevaleva un’insoddisfazione sotterranea, la consapevolezza che ciò che le piaceva davvero fare era altro. E perciò ricorda se stessa china su un manuale di Diritto Commerciale mentre il televisore acceso le rimandava le immagini di Heinz Beck che con la sua brigata ritirava il premio attribuitogli da una guida gastronomica, e ricorda di aver pianto; se stessimo raccontando una favola, a quel punto una fata sarebbe apparsa per trasformare il manuale di Diritto Commerciale in sac à poche e la casa in laboratorio, ma fate nella realtà non se ne vedono di frequente, e quindi Carmen dovette aspettare che apparisse qualcun altro, in carne ed ossa e senza bacchetta magica: lo chef Lino Scarallo, oggi al comando delle cucine di Palazzo Petrucci a Napoli, ma in quegli anni alla guida de La Maschera, ristorante di Avellino.

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Carmen si era laureata e lavorava in un’agenzia di animazione proprio di fronte al ristorante. Tra una chiacchierata e l’altra, Scarallo, il primo incontro fatale, percepì la passione che la animava e la introdusse all’esperienza in una cucina professionale, lasciando che iniziasse un percorso che la portò soprattutto a sviluppare pane e lievitati. Con i lieviti Carmen aveva un’antica amicizia: sua nonna aveva una piccola azienda agricola e preparava il pane con ciò che produceva. In casa, su un piattino, riposava sempre la pasta di riporto in attesa di essere utilizzata. “L’odore l’ho sempre avuto nelle narici“, dice Carmen, e quel ricordo olfattivo l’ha spinta ad amare il lievito madre, che oggi è un po’ il suo segno distintivo, giacché il suo successo degli ultimi anni è legato soprattutto alla sua produzione di panettoni, che le ha fruttato molti riconoscimenti.

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Poi arrivò il secondo incontro: quello con Rolando Morandin, che Carmen considera il suo Maestro. Fu grazie a lui che la pasticceria la conquistò, con quell’esigenza di precisione e perfezione che la caratterizza e senza la quale si possono fare molte cose, ma di certo non dolci. Così studiò, passò attraverso stage e corsi di perfezionamento, si formò alla Valrhona appassionandosi alla lavorazione del cioccolato e infine, armata di entusiasmo e incoscienza, aprì una piccola pasticceria, otto anni orsono.

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Nell’ottobre del 2013 la sede originaria è stata adibita a solo laboratorio e Carmen ha aperto un nuovo punto vendita di fronte. In questi otto anni è cresciuta, ha messo a fuoco intenzioni e tecniche e ha affrontato una sfida non facile: affermare in una piccola città, tradizionalista come tutte le piccole città, un concetto di pasticceria moderno, anche se non disdegna i classici. Al centro del lavoro di Carmen e dei suoi collaboratori (“Eccezionali”, li definisce) c’è il cioccolato, in forma di praline, ci sono i lievitati, come i prodotti per la colazione, dei quali va molto orgogliosa e che sono tra i maggiori richiami per la sua clientela, e poi torte e monoporzioni moderne, fatte di strati, inserti, gelées, bavaresi, giochi di consistenze. Le piace sperimentare, creare i dolci a tavolino, e che ciò che realizza sia realmente suo. Perciò non ama preparare le creazioni di altri pasticcieri che ammira, e poiché il suo principale difetto, dice, è non riuscire a fare ciò che non le piace, a meno che non sia costretta, da Dolciarte, questo il nome della sua pasticceria, non troverete altro che lei, la sua concezione e la sua espressione del fare dolci.

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Non ha una clientela di massa, Dolciarte, com’è facilmente intuibile, ma ha una clientela fedele che ama mangiare e sapere cosa mangia, che tiene all’uso di ingredienti di prima qualità, al bando dei semilavorati, degli aromi artificiali, dei grassi sospetti. E che delle mode, come quella del cake design nella sua versione più becera, può fare tranquillamente a meno. Perciò, la sfida Carmen l’ha vinta: l’ho incontrata nel periodo più caotico dell’anno, nel laboratorio invaso da panettoni in lievitazione o appena sfornati e dal profumo del burro vero. Ottomila i panettoni prodotti l’anno scorso. Otto anni fa, all’apertura di Dolciarte, furono cento. Quest’anno, chissà. Panettone classico o con sola uvetta; al limone; con arancia, cioccolato e cannella; con pere e cioccolato; castagne e cioccolato; caffellatte. E persino, attrazione del 2014, con cipolla ramata di Montoro candita.
Vinta una sfida, se ne vagheggiano altre. Carmen Vecchione sogna una panetteria, ma sa di non avere il tempo per occuparsene. E poi sogna il sogno più grande di tutti: un locale sul modello di alcuni aperti in Spagna da grandi nomi della pasticceria, una via di mezzo tra negozio e ristorante, che serva dolci e abbia un laboratorio visibile, e tavoli dove consumare. Una pasticceria evoluta.
E, sognando sognando, studia la canditura, ultima delle sue passioni, e passa notti in bianco in compagnia dei suoi lievitati.

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“Qual è la creazione di cui vai più fiera, Carmen?”
“È difficile, è come scegliere tra i figli”.

Ma poi le viene in mente il Sottobosco, in versione torta e monoporzione: un pan di Spagna con pasta di mandorle e frutti di bosco, un cremoso di cioccolato al latte, una mousse di cioccolato bianco a coprire, con un’infusione a freddo di frutti di bosco essiccati, e su tutto una glassa al lampone. Lo proponeva come dolce al piatto già alla Maschera. Negli anni, il dolce, di cui parla con vero affetto (“delicato, profumato, femminile“), ha subito modifiche e perfezionamenti. Poi Carmen l’ha preparato a se stessa come torta di nozze.

Ecco, io Dolciarte l’ho lasciata con in mente il Sottobosco e i profumi che immagino senza averli sentiti, perché Carmen avrà tanti difetti, tutti quelli che si attribuisce continuamente nella conversazione e che ho omesso, ma una cosa è certa: la passione che ha dentro di sé sa comunicarla molto bene.

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Dolciarte
Via Trinita’, 52 – 83100 Avellino
Telefono: 0825.34719 338.1124450
email: info@dolciarte.it

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Giovanna Esposito

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