La leggenda del buon cibo italiano

Quanto c’è di vero nella convinzione che ancora nutrono molti stranieri che il cibo italiano sia sano e genuino? Mettiamo ancora nel piatto alimenti gustosi e naturali?

Da queste domande dev’essere partito Paolo C. Conti nel decidere di scrivere questo libro. Il libro che tutti dovrebbero leggere.
Forse anche lui ha gettato uno sguardo nei carrelli altrui mentre faceva la fila alla cassa del supermercato ma, anziché ritrarsi scandalizzato e sacramentare tra sé e sé, come faccio io, ne ha preso spunto per un’inchiesta sullo stato in cui versa quello che un tempo fu il buon cibo italiano.
E la risposta alle domande dalle quali è partito è tutta nel titolo: “La leggenda del buon cibo italiano e altri miti alimentari contemporanei”.
Dai meccanismi stritolanti della grande distribuzione, che governa il mercato globale del cibo riuscendo a trarre vantaggio persino dalla tanto invocata tracciabilità, all’evoluzione della tecnologia alimentare più spregiudicata, dalle contraddizioni del biologico alla crisi della BSE (la cosiddetta “mucca pazza”), dai pesticidi agli additivi, Conti alza il velo su ciò che si nasconde dietro un prosciutto, una scatoletta di tonno, un wurstel in un documentatissimo libro che si legge come un romanzo, senza un attimo di noia.
Non è un integralista, Conti. E’ un professionista che raccoglie informazioni e cerca di diffondere la consapevolezza dei meccanismi che governano la produzione e il mercato alimentari. E lo fa con un occhio non solo alla salute e al gusto, ma anche ad un aspetto che raramente consideriamo: il potenziale economico che il cibo italiano, con la sua fama di buono e genuino, possiederebbe se preservato, tutelato e adeguatamente promosso in patria e all’estero.
Particolarmente interessanti, in questa prospettiva i capitoli “Tecnocibo” ed “Ecocibo”: assediati dal tecnocibo, vittime di messaggi promozionali pervasivi e dell’alibi della fretta che ci obbliga (?) a far uso di prodotti di rapida preparazione e infima qualità, corriamo il rischio di disperdere il patrimonio più ingente e virtualmente più redditizio che abbiamo e di infliggere colpi mortali all’immagine del nostro Paese come luogo d’elezione del cibo gustoso e sano.
Nel capitolo finale, dal titolo “Prima di chiudere”, Conti racconta con leggerezza i pochi, semplici passi con i quali ha modificato il proprio modo di alimentarsi e fare la spesa dopo aver condotto questa inchiesta. Piccoli sforzi per sfuggire alla stretta di chi cerca di convincerci che sfogliare e lavare un’insalata sia operazione troppo lunga, noiosa e complessa perché possiamo spenderci qualche minuto, e che per noi sia preferibile consumarne una già pronta ma raccolta settimane prima, confezionata in atmosfera protettiva e ormai priva di ogni sostanza nutritiva, o che sia normale avere pomodori a gennaio, magari provenienti da una serra olandese, e nutrirci con verdure che hanno fatto il giro del mondo prima di arrivare sui banchi del supermercato, o ancora che preparare un sugo veloce per la pasta sia un sacrificio esagerato, meglio un indolore passaggio in padella di cose preparate fuori dal nostro controllo in qualche grossa azienda, dieci volte più costose e spesso dal contenuto sospetto.
Non una battaglia di retroguardia: esattamente il contrario.
Basta usare la testa. Ma anche il naso, le mani, gli occhi. E infine il palato.

Paolo C. Conti – La leggenda del buon cibo italiano – Fazi editore

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Giovanna Esposito

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