La storia della cucina italiana secondo Alberto Capatti

Ho finito il liceo svariati anni fa, ma ricordo perfettamente che a conclusione dell’ultimo anno eravamo appena riusciti a cominciare la storia della Seconda Guerra Mondiale. Con il programma ai tempi si andava ben poco oltre.
Non so quanto siano cambiati i metodi di insegnamento o i programmi ministeriali, ma ho sempre avuto la sensazione che la storia che ci è più vicina, che poi è quella di cui siamo diretta espressione, è quella che conosciamo peggio e che ci è stata insegnata meno.
Motivo per cui ho trovato estremamente istruttivo, oltre che piacevole, leggere Alberto Capatti ne la “Storia della cucina italiana”.
Capatti, che è stato il primo rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo dove ha insegnato storia della cucina e della gastronomia, ha messo insieme un ponderoso patrimonio di ricordi, di ricettari, di letture, di libri, di esperienze personali, e li ha trasformati in un excursus sulla cucina e sull’alimentazione degli italiani degli ultimi settant’anni.
La sua storia ha un anno di inizio, un anno zero, il 1944, quando, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli italiani erano in fila con le tessere ed i tagliandi dell’annona e fondamentalmente avevano fame, ed ha una fine, il 2015, quando gli italiani sono nell’attesa di capire quello che sarà Expo e quale ne è il senso.
In mezzo un percorso che a tratti si sviluppa come un vero e proprio compendio di storia ed a tratti con uno stile più narrativo racconta episodi dimenticati, personaggi ed aneddoti curiosi. Ed in questa alternanza si fanno scoperte che val la pena menzionare.
Il ristorante Buitoni a Times Square aperto nel 1940 e chiuso nel 1960: un vero e proprio fast food italiano nella terra dei fast food; una sorta di nastro rotante che portava spaghetti cotti e conditi direttamente sotto la bocca dei consumatori, ristorante che contribuirà probabilmente a far penetrare gli spaghetti “in moltissime case americane dove il nome di Dante non viene mai pronunziato”.
Il banchetto storico organizzato nel 1961 a Mantova in occasione della mostra sul Mantegna: un pranzo per  gastronomi, giornalisti e personalità in costume rinascimentale a base di trentacinque portate e settanta vini, con un centrotavola monumentale composto di prosciutti, pernici, fagiani, porchette ed un cinghiale, poi un volo finale di uccellini sprigionati da un enorme dolce di bignole, crema e confetti. L’eco di quel pranzo mosse a Mantova folle di curiosi da tutto il mondo e Angelo Berti che lo ideò fu chiamato negli Stati Uniti per replicarlo.
La consuetudine degli anni Sessanta di attribuire ad un personaggio di spicco un piatto e di divulgarlo con il suo nome. Se forse saranno in pochi a ricordare il cotechino alla Nilla Pizzi o il coniglio alla Milva, forse a qualcuno saranno rimasti in mente i bucatini alla Tognazzi, una sorta di amatriciana eretica.

Storia della cucina italiana, Alberto Capatti, Guido Tommasi editore.
Consigliato a chi è interessato a conoscere un pezzo di storia italiana da un’ottica non convenzionale, a chi vuole avere un quadro molto esaustivo dell’editoria gastronomica degli ultimi 70 anni o a chi è semplicemente curioso di scoprire aneddoti e storie di cucina e di cibo.

 

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Lydia Capasso

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