Lo smørrebrød, ben più che un sandwich

Semplice eppure complessa, la più nota specialità danese, lo smørrebrød, nasce come cibo popolare e diventa simbolo della gastronomia del paese. Che sia in veste rinnovata oppure classica, il segreto, come sempre, è negli ingredienti.

In principio furono i contadini e i pastori, che nei campi e nei pascoli portavano con sé fette di pane guarnite con un companatico. Poi vennero gli operai delle fabbriche, dopo la rivoluzione industriale, che non avevano il tempo per tornare a casa per pranzo. Ma prima, prima di tutto, ci fu l’antica pratica di usare una fetta di pane come piatto. Si intrideva splendidamente dei succhi della carne, del pesce o delle verdure, eppure quando il companatico terminava veniva buttata via. Non sempre agli antichi è giusto attribuire saggezza.
IMG_0899-e1399372892105Lo smørrebrød è questo. Un sandwich aperto, lo definiscono molti. Una fetta di pane, e su di essa qualunque cosa. Pålæg è l’impronunciabile vocabolo che indica le farciture. Ma tra il pane e le innumerevoli bontà che reca accatastate, ammucchiate fino a coprirlo del tutto, c’è il burro, sia chiaro: smørrebrød è parola composta da smør (burro) e brød (pane); pane imburrato, insomma.
Il burro serve a dare gusto, ma anche a impermeabilizzare il pane; e su quella base candida e untuosa insistono ingredienti di ogni sorta, sovrapposti a creare un insieme torreggiante che può essere mangiato, e va mangiato, con le posate.
L’aringa, prima di tutto. Preferibilmente marinata. L’aringa è la regina dello smørrebrød, e in un pasto composto da una sequenza varia di questi ricchissimi sandwich va consumata in apertura. A seguire, ogni smørrebrød a base di pesce, che si tratti di salmone, gamberi, uova di pesce, merluzzo, platessa, che sia affumicato o impanato e fritto. Classico l’abbinamento tra gamberetti e fette di uova sode.
Poi tocca alla carne: paté di fegato di maiale, carne secca o salata o affumicata, pollo, salsicce, roast beef, tartare. Quindi arriva lo smørrebrød a base di formaggio.
Tutte queste materie sono sormontate da verdure, patate, uova sode, erbe, salse. A prevalere tra queste ultime sono la maionese e la salsa remoulade, un po’ invadente, a dire il vero, e spesso usata senza risparmio. Tra le verdure, abbondano cipolle rosse, cetriolini, ravanelli, cavolo. Tra le erbe, l’aneto e l’erba cipollina. Ma è bene far attenzione a ciò che si addenta, perché è molto presente anche il rafano, profuso con mano generosa.

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Il pane ha da essere di segale, il nero pane amatissimo dai popoli del nord Europa, tanto che secondo le statistiche i Danesi ne consumano 25 chili procapite all’anno. Qualche eccezione esiste: gamberi e salmone vogliono pane bianco, e la regola non va sottovalutata, perché malgrado il fatto che i Danesi siano un popolo informale, a certe cose tengono parecchio. Per esempio, a che si dia inizio al pasto a base di smørrebrød con un brindisi rivolto a tutti i presenti; perché lo smørrebrød, inutile dirlo, richiede un accompagnamento alcolico, a base di birra locale o, meglio ancora, di acquavite. Snaps per tutti, almeno quando incominciano le danze a tavola: il cerimoniale è una cosa seria.
IMG_1033-e1399373010366La tradizione dello smørrebrød, che aveva vissuto i suoi fasti a partire dalla fine dell’800, quando la grossa tartina multistrato era passata dai campi e dalle officine alle tavole dei ristoranti, ha subito un declino nella seconda metà del ‘900, soppiantata da cibi esotici e invenzioni culinarie e snaturata dall’uso massiccio di ingredienti di cattiva qualità, pesanti, grassi e semilavorati. Insomma, perdendo appeal lo smørrebrød aveva perso anche gusto e bontà. Negli ultimi anni invece si è assistito a una rinascita del pane imburrato danese, che non solo è tornato ad occupare un posto di rilievo nell’alimentazione quotidiana dei locali, ma è diventato il piatto da provare per chi visita il paese e ha avuto anche l’onore di essere rinnovato da accorti ristoratori che gli hanno restituito dignità, considerandolo un simbolo dell’identità danese.
Ingredienti freschi, di qualità e locali, perché, non lo dimentichiamo, la Danimarca ha secoli di tradizione di lavorazione e conservazione del pesce e della carne; ottimo pane, ricette alleggerite e rese più corrispondenti ai canoni di un’alimentazione sana: tra gli alfieri della resurrezione, Adam Aamann, il cui ristorante nella zona di Østerbro è ormai la mecca dello smørrebrød innovativo e moderno, e che ha aperto anche, di recente, un locale a New York.

Ma ottimi smørrebrød si trovano in tanti locali di Copenhagen. Ida Davidsen è tra i più celebri, e vanta una storia che risale al 1888 e il record mondiale del menù più lungo, incluso nel Guinness dei primati. È il luogo dove farsi vedere in città, frequentato da politici, attori e celebrità varie. 178 tipi di smørrebrød e una consolidata reputazione.
Schønnemann, in Hauser Plads, è tra i più classici. Immarcescibile, osa combinazioni insolite ma non viene meno alla tradizione anche nell’arredo.

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E se prima di una visita a Copenhagen qualcuno vi dice di evitare la zona di Nyhavn e i suoi ristoranti perché sono una trappola per turisti, non dategli ascolto: Nyhavn è un luogo delizioso dove trascorrere delle ore, soprattutto in una giornata di sole, e ospita anche Cap Horn, piacevolissimo ristorante in un antico edificio che a pranzo propone ottimo smørrebrød e i cui piatti sono preparati esclusivamente con ingredienti biologici.

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Giovanna Esposito

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