Cambiano nome, cambiano foggia. Talvolta si assomigliano al punto da sovrapporsi e da non poterne più ricostruire le origini. Gloria delle tavole di tutto l’Oriente mediterraneo, ma soprattutto del Libano, sono le mezzé.
Persino l’origine del nome è controversa: dall’Arabo mâza, proveniente del verbo tamazzaza (gustare a piccoli bocconi, ma anche sorbire a piccoli sorsi una bevanda)? O dal Persiano maza (sapore)? Dal Turco mezze, che indica la tavola e, per estensione, i molti piatti che la guarniscono? Il primo, a quanto si legge, è attestato fin dal XIII secolo nel Lisân al-‘Arab, vasto dizionario della lingua araba completato da Ibn Manzur nel 1290.
Piccoli bocconi, in ogni caso, è proprio ciò che le mezzé sono, in questo apparentate con le tapas spagnole. Dai Balcani al Mar Rosso, passando per la Grecia, la Turchia, la Siria, la tavola è una composizione festosa di minuscoli piatti, ma il trionfo delle mezzé si celebra in Libano, paese la cui intera cultura gastronomica trova espressione in pasti a base di quaranta e persino cinquanta piccoli piatti e in cui il livello di raffinatezza e varietà delle mezzé è ineguagliabile.
Ovviamente a creare la “civiltà delle mezzé”, quella emicintura mediterranea che riunisce popoli di lingue e origini diverse intorno ad assaggi multipli, è stata la comune appartenenza all’Impero Ottomano; di certo questa civiltà ha trovato in Libano una sua specificità, favorita senza dubbio anche dal fatto che, pur occupando un piccolo territorio, quel paese gode di una varietà climatica tale da fornire un invidiabile assortimento di materie prime.
Nelle mezzé entra di tutto, materie vegetali e animali, al naturale, cucinate o conservate. Inutile dire che la conservazione, in ogni economia di sussistenza, diventa un’arte che è indispensabile praticare. Perciò tra le mezzé libanesi si trova ogni sorta di verdure conservate, soprattutto in salamoia e con aggiunta di olio e aromi (kabis): rape e melanzane, cetrioli e zucchine, fagiolini e foglie di vite, peperoni e cavolfiori.
L’essiccazione ha il suo ruolo nel conservare i legumi, così importanti nella cucina mediorientale, le erbe aromatiche e la frutta oleosa, che spesso costituisce il preludio alle mezzé, una sorta di antipasto dell’antipasto.
E si conserva finanche la carne: celebre l’awarma, un confit di montone realizzato cuocendo la carne nel grasso dell’animale a fuoco lento, e che viene poi invasato e utilizzato nella composizione di diversi piatti.
Sulla tavola apparecchiata con le mezzé abbondano le verdure crude di stagione, da sole o combinate tra loro a formare fresche insalate; quelle cotte (saltate, fritte, grigliate) o ridotte in purea, come i legumi (chi non conosce il Baba Ganoush o l’hummus nelle sue tante varianti?); immancabile la bemié (o bamia, okra, gombo, abelmosco) cucinata preferibilmente in umido. E naturalmente i cereali: il burghul, in primo luogo, in veste sia estiva che invernale, nel primo caso adatto ad insalate come il celeberrimo tabbuleh, nel secondo a confortanti zuppe, e sempre usato per le kibbeh, le universalmente note crocchette di carne e burghul che possono presentarsi crude e condite con un filo d’olio d’oliva o farcite e cotte sulla brace o ancora fritte. Risorsa per il freddo inverno che si appronta alla fine dell’estate è il kischk, burghul fermentato con yogurt e in seguito seccato, spezzato e setacciato fino a ricavarne una polvere sottile che viene utilizzata per preparare zuppe o un condimento per la manaqish, la pizza libanese.
Non mancano, tra le mezzé, i derivati del latte: formaggi di capra, pecora o mucca, o di latte misto: in particolare l’ambariss, di latte di capra o misto messo a fermentare in vasi di terracotta e quindi essiccato e salato, o lo Chanklich, ottenuto da latticello portato ad ebollizione e sgocciolato da cui si ricavano piccole sfere bianche che riposano in recipienti di terracotta fino alla formazione di un leggero strato di muffa. E il labné, una versatile e classica specialità ottenuta dallo sgocciolamento e dalla salatura dello yogurt, di cui parleremo prossimamente.
E poi c’è il pane o khebz, che a volte sostituisce la forchetta. Il celeberrimo pane arabo, di piccolo diametro, che si gonfia in cottura formando una sorta di bolla/tasca e viene di solito farcito, o i pani schiacciati simili alla pita, che si ritrovano in tutta l’area delle mezzé. C’è persino chi si è premurato di fornire indicazioni per il corretto uso di quest’ultimo (noto anche come “Pane libanese”) in luogo delle posate…
Dunque cosa si può portare in tavola per una cena a base di mezzé? Di tutto. L’abbondanza è la chiave.
– Kabis (verdure in conserva)
– Olive
– Frutta secca
– Insalate colorate e miste, ad esempio il fattouche, arricchito con pane tostato o fritto
– Uno o più piatti di legumi, anche semplicemente lessati e conditi con olio, aglio, limone, cumino. Fave, di preferenza, e un puré di ceci. Naturalmente, anche falafel
– Verdure cotte: in purea (melanzane, in primo luogo), fritte (mekli), grigliate, saltate in padella, come nella chakchouka (una padellata di peperoni con aglio, olio, pomodori insaporita con coriandolo. Un piatto dal nome simile, diffuso nel Maghreb, è invece a base di uova)
– Fatayer: fagottini di pasta ripieni di carne o spinaci
– Carne di montone o di agnello variamente preparata, ideali kefta (polpette) o kibbeh, ma anche pollo
– Interiora e affini: via libera a rognone, fegato, lingua, midollo
– Taratour: una crema di sesamo, aglio, olio, limone un cui intingere qualunque cosa, dalla carne alla foglia di insalata, dal pane al pesce fritto
– Labné e formaggi di capra
– Burghul, in qualsivoglia veste
– Pani schiacciati, pane arabo, pizze condite con olio e spezie
I luoghi d’elezione per gustare uno stupefacente assortimento di mezzé tra i migliori del Libano sono le regioni di Ehden e soprattutto di Zahlé: lungo il fiume Berdawni, che attraversa Zahlé, sorge una frotta di ristoranti con tavoli all’aperto ombreggiati da alberi. D’altronde Zahlé è anche specializzata nella produzione dell’Arak: chiamata anche “latte di leonessa”, “latte dei coraggiosi” o “lacrime della Vergine”, quest’acquavite d’uva aromatizzata all’anice è inseparabile dalle mezzé al punto da far pensare che esse siano nate solo per tenerle compagnia e aiutarla a svolgere il suo compito: rilassare gli animi e creare un’atmosfera di gioiosa convivialità.
Nota: Per realizzare una vera tavola di mezzé alla libanese, ottime risorse sono i libri di Salma Hage, “The lebanese kitchen” (Phaidon), di Anissa Helou, “Levant” (Harper Collins) e di Andrée Maalouf, “La cuisine libanaise d’hier et aujourd’hui” (Albin Michel). Ma non dimenticate di procurarvi l’indispensabile t’hiné, tahina o tahini (la pasta di sesamo) e le imprescindibili erbe, spezie o loro miscele: oltre a quelle facilmente reperibili anche da noi, occorrono sumac, za’atar e sabe’ bharat, un mix di sette spezie che potete preparare in casa combinando tra loro pepe nero, cannella, chiodi di garofano, pimento, zenzero, noce moscata e coriandolo in proporzioni uguali. Anche di questa miscela esistono molte versioni, variabili da regione a regione e addirittura da famiglia a famiglia, e alcune includono cumino o fieno greco, galanga, paprica.
Foto di apertura: “Selection of Meza From Cafe Nouf Restaurant” by Safsaftunis – Own work. Licensed under CC BY-SA 3.0 via Commons –
Mi son permesso di rubarti la foto del tavolo con tutti i piatti per un aricolo sui mezze del mio blog. (https://wp.me/p280og-JA, fra qualche giorno). Comunque ho messo un link al tuo articolo con il consiglio di leggerlo. Grazie e buon appetito.
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