Scrive Pellegrino Artusi, che veneto non era:
Il riso! Ecco giusto un alimento ingrassante che i Turchi somministrano alle loro donne onde facciano i cuscinetti adiposi.
Cominciamo con i piselli.
I piselli vengono bene anche nella seguente maniera. Mettete al fuoco un battutino di carnesecca, aglio, prezzemolo e olio; conditelo con poco sale e pepe, e quando l’aglio avrà preso colore, buttate giù i piselli. Tirato che abbiano l’unto, finite di cuocerli con brodo o, in mancanza di questo, con acqua.
I gusci dei piselli, se sono teneri e freschi, si possono utilizzare cotti nell’acqua e passati allo staccio. Si ottiene così una purée che si può anche mescolarla all’acqua del risotto.
Passiamo al riso.
Riso, grammi 500.
Burro, grammi 100.
Parmigiano, quanto basta.
Una cipolla di mediocre grossezza.
Il riso, come già vi ho detto altra volta, non conviene lavarlo; basta nettarlo e strofinarlo entro a un canovaccio. Trinciate la cipolla ben fine colla lunetta e mettetela al fuoco colla metà del burro. Quando avrà preso il colore rosso, versate il riso e rimuovetelo continuamente col mestolo finché abbia succhiato tutto il soffritto. Allora cominciate a versar acqua calda a un ramaiuolo per volta, ma badate che se bolle troppo ristretto, resta duro nel centro e si sfarina alla superficie; salatelo e tiratelo a cottura asciutta, aggiungendo il resto del burro. Prima di levarlo dal fuoco, unitevi i piselli in giusta proporzione e dategli sapore con un buon pugno di parmigiano.
Questa dose basterà per cinque persone.
Come detto, l’Artusi non è veneto.
Vediamo perché.
Risi e bisi sono una delle pietanze più note della cucina veneta. Pare sia nato tra gli isolotti della Repubblica di Venezia, e il 25 aprile, giorno di San Marco, patrono di Venezia, il Doge doveva mangiare risi e bisi seguendo un preciso cerimoniale (poareto!).
Sembra comunque che questo piatto abbia origini ancora più antiche e si farebbe addirittura risalire all’epoca bizantina.
La sua terra d’origine si potrebbe localizzare nella zona a sud di Vicenza, nella frazione di Lumignano, dove si coltivano i piselli più buoni d’Italia.
E nella bassa non mancano certo le risaie.
Il “risi e bisi” non è né un risotto né una minestra, ma una via di mezzo, cioè non dev’essere né troppo asciutto né troppo brodoso. Altro che la cottura asciutta di cui parla Pellegrino!
Si tratta di un piatto povero, dove i piselli vengono sfruttati al 100%, in quanto nella preparazione vengono usati sia i piselli, sia i loro baccelli.
La signora Bruna, la bellissima mamma bionda di un mio amico vicentino, viene da una famiglia di contadini con ben otto toseti.
Mi ha detto che per fare risi e bisi bisogna prima fare il brodo con le bucce dei piselli.
Intanto in un altro tegame si scaltrisce la cipolla (scaltrire pare sia una via di mezzo tra il soffriggere e lo stufare, facendola andare lentamente), si scaltrisce quindi la cipolla con il prezzemolo.
Poi si aggiungono i piselli e si fanno insaporire.
Molti (poareti!) li portavano quasi a cottura, perché così si scioglievano un po’ e non c’era bisogno di tanti piselli.
A questo punto si aggiunge il brodo – in quantità doppia di volume rispetto al riso, più una tazzina da caffè – e quando bolle si aggiunge il riso. Tutto. E si porta a cottura.
[Usando il procedimento inverso, quello classico del risotto, il risultato non cambia, anzi, a me pare anche più buono…]
Per quanto riguarda il tipo di riso, a casa della signora Bruna si usava il vialone nano, quello locale di Grumolo delle Abbadesse, o della bassa veronese. L’importante era che fosse fresco, se no si rischiava di trovarci i bai.
Il riso va cucinato piano piano, senza farlo bollire forte. Loro avevano per il riso una pentola di rame stagnato vecia come el cuco. E se la minestra era troppo fissa, si poteva aggiungere del brodo in un secondo momento.
Signora Bruna, ma la pancetta? No, no, loro, a casa loro, la pancetta non ce la mettevano, perché avevano tanto burro per il soffritto – ci avevan le vache – e poi alla fine aggiungevano altro burro.
Battuto di pancetta o lardo lo usavano solo per i radici.
Però altri contadini pi’ poareti, che i gaveva poco buro usavano il battuto.
A quanto pare il burro fungeva da indicatore di reddito.
E il bicchiere di vino da berci insieme? Un bel Breganze bianco ovviamente!
(Ma la signora Bruna è di zona, noi ci possiamo bere per esempio un Arneis Langhe, oppure un Bianco di Custoza, ma anche un Soave ci sta bene).