Non si può dire di essere stati in Piemonte se non si è assaggiata la bagna cauda. È il piatto-simbolo della tradizione culinaria contadina e piemontese, eppure i suoi ingredienti fondamentali non sono locali: acciughe salate e olio d’oliva vengono da fuori, da posti vicino al mare. La bagna cauda, per chi ancora non lo sapesse, è una salsa – da servire caldissima – di acciughe e aglio, sciolti a fuoco dolcissimo in buon olio d’oliva. Le varianti sono ovviamente possibili, ma il nucleo è questo. Si accompagna a verdure, soprattutto crude, pane, polenta.
Ma quando è nata la bagna cauda? Chi l’ha inventata?
Come spesso accade con i piatti della tradizione non c’è un inventore. Si ipotizza un’origine antica, addirittura medievale, ma solo sulla base della disponibilità degli ingredienti. Ci sono molte ipotesi ma nessuna certezza sulla sua nascita. C’è chi propende per un’origine provenzale, tra gli operai che lavoravano nelle saline della Camargue, che avevano a disposizione il sale, il pesce, l’olio e l’aglio dell’entroterra. Con ogni probabilità questa salsa veniva consumata intingendovi il pane, frugale pasto durante il lavoro. L’Anchoiade provenzale – salsa del tutto simile alla bagna cauda e servita sia calda che fredda – si prepara pestando nel mortaio acciughe salate, olio , aglio e pochissimo aceto. I mercanti occitani potrebbero dunque aver conosciuto questo piatto durante i loro viaggi e averlo fatto proprio.
Giovanni Goria, nel suo libro La cucina del Piemonte sostiene che la bagna cauda fu inventata dai vignaioli del tardo Medioevo per festeggiare con un piatto esotico e speciale la spillatura del vino nuovo. Nessuna certezza, come si vede, tranne l’antichità dell’origine.
Come le acciughe siano arrivate in Piemonte è altra storia interessante. Forse furono portate dai Saraceni sconfitti e stanchi di guerra che in cerca di pace si rifugiarono tra i boschi della Val Maira, nel Cuneese, dove fondarono il borgo di Moschieres. Un’ipotesi alternativa vuole l’introduzione delle acciughe in Piemonte per mano degli ebrei occitani, rifugiati in Val Maira (mai luogo sperduto è stato tanto ambito, pare) per sfuggiare all’Inquisizione, che avrebbero scambiato stoffe ed altri manufatti locali con acciughe da rivendere in Piemonte.
Certo è che queste terre sono state, fin da epoche antichissime, luogo di transito per il sale. Insieme al sale, con ogni probabilità viaggiavano altre merci – tra cui le famose acciughe. Verso la fine del Settecento il commercio del sale venne strettamente regolamentato rendendolo meno redditizio. Molti dei mercanti di sale allora si convertirono a derrate più semplici da smerciare, come le appunto il pesce salato. In Val Maira, a Celle di Macra, c’è persino un museo degli acciugai. Interi paesi si spostavano nella vicina Liguria, con il carretto blu (il caross d’ancioe), per trasportare le acciughe da rivendere nell’entroterra.
E l’olio? Parrà strano ai più (e anche a me) sapere che fino al ‘700 nel Piemonte meridionale (soprattutto nella zona di Acqui) si coltivava l’ulivo, introdotto da Greci prima e Romani poi. Nel Settecento una non inconsueta gelata distrusse gran parte degli ulivi che non vennero più sostituiti. L’olio per la bagna cauda toccherà procurarselo in Liguria.
La bagna cauda non poteva che nascere qui, tra le valli occitane provenzali e piemontesi, per estendersi fino al collegamento tra Liguria e Piemonte Meridionale. Pare che a Nord del Po, a casa mia, questo piatto sia arrivato in epoca molto più tarda – addirittura a partire dal ‘900.
Piatto contadino, di sapore robusto, pare che la bagna cauda non dispiacesse neppure ai nobili. Si racconta che la “Madama Reale”, Giovanna Battista di Savoia Nemours, se la facesse preparare nel retro del palco reale del Teatro Regio. Cosa non si farebbe per l’arte!
Dopo tanto parlare di storia e commercio, magari a qualcuno sarà venuta la fantasia di provarla, questa famosa bagna cauda. Prima di tutto occorre procurarsi il fornelletto individuale che serve a tenere in caldo la salsa: consumarla fredda o tiepida è una pratica che non mi sento di consigliarvi.
La bagna cauda di Luigino Bruni, gastronomo e presidente onorario dello Slow Food di Alessandria
(per 6/8 persone): 16/18 acciughe sotto sale (350g circa) stagionate e “in carne” con il loro sale ancora bianco, 3 o 4 teste d’aglio ben sode, mezzo litro abbondante di olio extra vergine d’oliva della riviera ligure di ponente profumato e delicato (in mancanza potrete usare un semplice olio d’oliva delicato, ma è un ripiego), due bicchieri di vino bianco secco per il risciacquo delle acciughe.
Dissalate le acciughe immergendole nel vino e sfregandole con le mani, apritele per eliminare la lisca centrale e la parte vicina alla pancia e asciugatele. Svestite l’aglio tagliando gli spicchi in senso verticale ed eliminando il germoglio. Se volete ridurre appena il sapore dell’aglio, potete lasciarlo in acqua fredda per una mezz’ora. Tagliate gli spicchi d’aglio con un coltello a listarelle (non frullatelo nè pestatelo). Mettete a freddo la metà dell’olio con l’aglio e scaldatelo a fuoco dolcissimo. L’aglio non deve friggere, vedrete formarsi un lento movimento di correnti ascensionali dell’olio con volute dell’aglio che non prende colore. Mescolate con un cucchiaio di legno l’olio. Il tegame deve essere di coccio. Quando l’aglio è ammorbidito e quasi sciolto, aggiungete le acciughe e il restante olio. Proseguite la cottura, sempre mescolando, sino a quando le acciughe si siano completamente disciolte. Tollerata, ma non consigliata, l’aggiunta di un pezzo di burro.
Prelevate la metà della bagna cauda che conserverete al caldo in un pentolino senza cuocerla ulteriormente. Servite la restante bagna cauda direttamente nel suo tegame di cottura posto sopra al fornelletto ad alcool (tipo quello usato per la fondue bourguignonne). Fate in modo che non manchi l’olio nè la salsa, integrando con quella messa da parte.
Accompagnate questa bagna cauda con il cardo gobbo, i topinambour e i peperoni, aggiungendo qualche altra verdura a disposizione (la barbabietola rossa, la rapa, il cavolfiore, il finocchio, il sedano, il cavolo). Importante che le prime verdure siano abbondanti e croccanti. Per finire, se di vostro gradimento, versate la rimanente bagna cauda in una padella antiaderente e rompete 4 o 5 uova, strapazzatele e servitele ancor morbide in tavola.
Vino: Barbera o Dolcetto o Nebbiolo, giovani.
Molte altre notizie e numerose ricette di piatti a base di bagna cauda si trovano nel librino di Luigino Bruni “LA BAGNA CAUDA – L’origine e la storia – Ricette famose di ieri e di oggi” – Edizioni dell’Orso – Alessandria, 2011.
Immagini di: D.A, confraternita acciugai e comuni d’Italia.