Zuppe di pane dall’Italia

L’etimologia dice già tutto: zùppa, dal Germanico suppa, ‘fetta di pane inzuppata’. Il Longobardo aveva supfa, da cui sono derivati il toscano zuffa e il friulano zuf per ‘farinata’. Da suppa arrivano soupe in Francese, soup in Inglese, suppe in Tedesco, σούπα in Greco, sopa in Spagnolo. Insomma, la zuppa è zuppa dappertutto.

Dunque, pane inzuppato. Tutto il resto, il potage, la vellutata, la crema e ogni genere di minestra, è diventato zuppa in seguito e indebitamente. La madre di tutte le zuppe si fa con il pane e un liquido. Acqua, brodo, latte, vino, birra.
Le zuppe di pane sono cibo povero e confortante, generalmente di origine contadina, ideale per utilizzare fino all’ultima briciola di pane raffermo e non sprecare nulla. Piatti di riciclo per eccellenza, riciclo dell’alimento di base che è sinonimo di sopravvivenza. La cucina italiana tradizionale e regionale ne è piena, e anche quella del resto del mondo. Alcune, da umili strumenti di sostentamento, si sono nobilitate, altre hanno acquisito fama internazionale e sono diventate snob. Conosciamone alcune, per ora solo italiane, dividendole in grandi famiglie per affinità.

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Le primordiali. Poverissime, le zuppe che possiamo definire primordiali hanno tra gli ingredienti solo il pane, un liquido, un po’ d’olio, talvolta aglio. Come la panada trentina, pane raffermo cotto lungamente nell’acqua con un goccio d’olio o un pezzetto di burro, condito con sale e nulla più. O l’acqua cecata cilentana, in cui il pane, biscottato, viene inondato con un liquido ottenuto facendo soffriggere aglio, olio, un paio di pomodorini e un’acciuga sotto sale e diluendo con acqua bollente. Ha una parentela stretta con l’acquasale, presente in Puglia e in Cilento, che però non si può definire zuppa, dal momento che l’acqua viene utilizzata solo per ammorbidire il pane biscottato che viene in seguito condito con ingredienti poveri, ma il risultato finale è un piatto non brodoso, simile alla caponata napoletana o alla cialledda.

Le arricchite
. Il pane e il liquido, di solito brodo, ne sono sempre gli ingredienti principali. Ma salumi, formaggi, carne, uova o legumi le rendono piatti più nutrienti. Così avviene per la zuppa di pane nero sudtirolese, con alla base un soffritto di cipolla e pancetta a cui si aggiunge il pane nero a tocchetti per poi bollire il tutto coprendo con brodo di carne. Si serve talvolta con l’aggiunta di un uovo e prezzemolo o erba cipollina.
Dalla Val d’Ultimo, sempre in Sud Tirolo, arriva una zuppa di pane con cipolle rosolate insieme a speck, un fondo di farina tostata con burro o olio, brodo di carne, alloro, cumino e sale, che si versa in fondine in cui si sono disposti dei crostini di Vinschgerlen, tipico pane della Val Venosta.
Anche la zuppa alla pavese è povera ma non poverissima. Sul pane, fritto nel burro, si rompono due uova, si cosparge di grana grattugiato e infine si inonda il tutto con brodo di carne.
Tra le arricchite rientra senza ombra di dubbio la minestra di pane toscana, “madre” della celeberrima ribollita, che è frutto della ri-cottura della minestra di pane avanzata. I fagioli e il cavolo nero sposano il pane, rigorosamente sciocco, in una zuppa che le proteine dei legumi rendono meno austera. Lo stesso può dirsi della zuppa frantoiana, ancora toscana, ricca di verdure ed erbe, variabili da ricetta a ricetta, e con fagioli e pancetta. Come il nome lascia intuire, l’olio di frantoio, abbondante, dovrebbe essere appena spremuto. Toscana, ma anche presente nella Tuscia viterbese, l’acquacotta, in cui dei pomodori vengono cotti con cipolla e odori e allungati con acqua; alla fine della cottura nella zuppa si sgusciano delle uova, si lascia rapprendere l’albume e si versano sul pane raffermo. Ma dell’acquacotta esistono versioni ricche di verdure e più complesse.
La zuppa d’accia calabrese, a base di sedano cotto in acqua e olio, è tra le più ricche: viene versata in scodelle in cui si sono disposte fette di pane, di soppressata, di caciocavallo e uova sode.

La “panada”.
Della panada trentina abbiamo detto tra le zuppe primordiali. Ma con lo stesso nome abbiamo zuppe di diversa tradizione. Tutte poco meno povere: nella panada veneta il pane raffermo viene disposto a strati in una casseruola, con brodo a filo, e cotto fino ad ammorbidirsi. Alla fine si mescola vigorosamente aggiungendo olio, cannella e formaggio grattugiato in modo da ottenere una zuppa densa. Nella versione modenese, il pane viene intriso con brodo, poi condito con burro fresco e parmigiano, e in quella reggiana cotto con acqua salata fino a ridursi in crema e infine completato, anche qui, con burro e parmigiano.

I pancotti.
I pancotti sono ovunque. La zuppa più trasversale della nazione, presente dalla Liguria alla Calabria, muta senza stravolgere la propria essenza, che consiste in pane cotto, appunto, in acqua variamente aromatizzata, con aggiunte differenti da regione a regione. Nel panecuotto della Basilicata l’acqua è profumata con aglio, olio, prezzemolo e alla fine nel liquido si sgusciano uova e si completa il tutto con pecorino. Nel suo cugino ligure compare l’origano, e un filo d’olio crudo rifinisce la zuppa. Nella versione calabrese non mancano pomodoro e peperoncino e in quella pugliese invece entra una folta e variabile schiera di verdure o erbe, di solito rucola o cicoria, e le patate. E anche il Lazio ha il suo pancotto. Con i pomodori e il pecorino. In fondo anche la conosciutissima pappa al pomodoro toscana è una versione del pancotto.

Le infornate.
Capita che le zuppe di pane, pur basate sul medesimo concetto delle altre (pane inzuppato in un liquido) subiscano un passaggio in forno che le assimila a degli sformati di pane. La sopa coada veneta (zuppa “covata”, a causa della lunga cottura che richiede) è tra le zuppe infornate, ma è anche una delle più ricche, dato che nella sua composizione entra il piccione, cotto con burro, odori, vino. Il pane, rosolato nel burro, viene disposto a strati in un recipiente di terracotta, spolverizzando di formaggio; agli strati di pane si alternano la carne del piccione e i suoi fegatini, e si irrora con il fondo di cottura del piccione allungato con brodo. La sopa coada viene infornata due volte, nella versione più tradizionale, dapprima per un’ora e poi di nuovo il giorno successivo.
Anche la suppa quatta o cuata, meglio nota come zuppa gallurese, passa per il forno. Pane gallurese di semola di grano duro a strati, formaggio fresco vaccino e pecorino stagionato, brodo di capretto o agnello, o misto di manzo e agnello, cannella.
La seuppa, o zuppa valpellinese, dalla val d’Aosta, vede il pane disposto a strati con fette di fontina e bagnato con brodo di manzo in cui si è fatta cuocere della verza, e infine infornato. Coma la supa mitunà o mitonà del Piemonte, che le assomiglia parecchio. Pane rosolato nel burro disposto in una pirofila, completato con verza, toma o Bra e brodo a coprire.

Naturalmente di zuppe di pane ce ne sono molte altre. Il repertorio è virtualmente infinito. Ma per chiudere vorremmo raccontarvi di una curiosa zuppa altoatesina che di pane non è, bensì di farina. La zuppa di farina tostata, più precisamente, in cui la farina viene fatta dorare nel burro come per un roux, quindi vi si aggiunge acqua, poi cipolla tritata e infine si versa il composto in acqua bollente e si lascia cuocere, completando alla fine con zucchero e aceto. Si serve con crostini di pane, inutile dirlo…

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Giovanna Esposito

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